Fonte:
ACAD
Aldo
Bianzino era un falegname di 44 anni residente a Città di Castello in provincia
di Perugia. Aveva scelto una vita appartata insieme alla compagna Roberta
Radici e a suo figlio Rudra: un appezzamento di terra nel cuore delle colline
umbre, una cascina, uno stile di vita alternativo all’insegna del pacifismo e
delle filosofie orientali. Questo fa di Aldo il perfetto “attenzionato”, un
elemento che non può passare inosservato in una piccola comunità collinare. Un
hippie con la barba lunga, diverse piante di marijuana coltivate nell’orto di
casa e con un modesto lavoro di falegname, facilmente può essere etichettato
come diverso.
Per
quelle piantine di canapa, la notte del 12 ottobre 2007 Aldo e Roberta vengono
arrestati con l’accusa di possesso e spaccio di sostanze stupefacenti. Vengono
condotti al carcere di Capanne e separati in diversi reparti. Dall’ingresso in
carcere Roberta non vedrà più Aldo se non dopo la sua morte.
La mattina
seguente alle ore 8.15 Aldo viene trovato morto nella sua cella. Ad annunciarlo
alla moglie ancora detenuta nella sezione femminile, è un dipendente del
carcere che ambiguamente esordisce con questa domanda: ”Signora che lei sappia
suo marito soffriva di svenimenti?”. Sarà Roberta a descrivere il tono di quel
surreale dialogo, che avveniva mentre Aldo era già steso sul tavolo dell’obitorio.
“Signora suo marito soffre di cuore? Ha mai avuto problemi al cuore? E’ mai
svenuto?”, queste le domande che il dipendente dell’amministrazione
penitenziaria rivolge alla compagna di Aldo. Roberta viene scarcerata verso
mezzogiorno. Nei corridoi incontra quel funzionario accompagnato da un'altra
persona e si precipita a chiedere quando avrebbe potuto vedere Aldo. L’uomo
testualmente le risponde: “Signora, martedì dopo l’autopsia”.
Roberta
muore un anno dopo di tumore, dopo aver dedicato gli ultimi mesi della sua vita
alla ricerca della verità, convinta fin da subito che Aldo abbia subito
violenze.
Sarà
il medico legale nominato da Gioia Toniolo, ex moglie di Aldo, il primo a
parlare chiaramente di pestaggio “particolare”, effettuato con tecniche
militari atte a non lasciare segni esterni ma a distruggere gli organi interni.
Il fegato di Aldo presentava una profonda lacerazione. A curare le indagini è
lo stesso Pm che ha ordinato l’arresto di Aldo. Per ben tre volte il Pm
Giuseppe Pietrazzini chiederà di archiviare il procedimento a carico di ignoti
e ci riuscirà concludendo che Bianzino è morto per cause naturali in seguito
alla rottura di un aneurisma cerebrale. Una prima fase delle indagini tecniche,
basata sulle consulenze del Pm, evidenziava una causa di morte violenta.
Ulteriori approfondimenti sulle videoriprese del carcere e su altri dati ricondurranno
nuovamente il decesso a cause naturali determinando la definitiva
archiviazione.
Forse l'aneurisma bisognava cercarlo in altri parcheggi.
RispondiEliminaFinché gli sbirri sanno di poter godere della protezione dei giudici, ci saranno sempre alcuni di loro che si lasceranno prendere dalla tentazione di sfogare su una vittima inerme i propri istinti primordiali e sadici.
EliminaSi proteggono a vicenda, il sistema si regge sull'intreccio delle protezioni.
EliminaL'ingenuità dell'umanità è agghiacciante!!!!
Questa è un'altra storia raccapricciante, con tanto di video: http://www.giustiziaperfranco.it/
RispondiEliminac'è proprio da dire: "Se questo è un uomo" e la frase non è riferita a Francesco.
Sebbene legato, si agitava tantissimo. Anche di notte.
EliminaAlla fine dei tre giorni e 10 ore si vede che resta immobile e il suo cadavere viene portato via su una barella.
Poraccio!
:-(