Testo di Carla Cace
Faccio parte dei
duecento italiani che, tra il 28 e il 29 agosto, sono stati bloccati
per molte ore ad Antananarivo, la capitale del Madagascar, a causa di
un complicato (e annoso) contenzioso tra compagnie aeree. La
decisione della Ue di inserire Air Madagascar nella black list
europea per una non corretta manutenzione dei suoi aeromobili ha
originato un incredibile sciopero degli assistenti di terra malgasci
che protestavano per la declassificazione della compagnia aerea di
bandiera, un’azione che a loro dire era un boicottaggio di Air
France per avere l’esclusiva dei voli sull’Europa. Vicenda
risolta dopo una estenuante attesa e l’arrivo in aeroporto del
presidente del Madagascar in persona. Eppure tutto questo non ha
intaccato la magia di ciò che ho vissuto in quella terra lontana e
affascinante.
Il mio viaggio di
nozze aveva come meta la grande barriera corallina
australiana. Ma il fato ha voluto altro per noi.
Dopo svariati “disguidi” e dopo esserci resi conto della
distanza eccessiva per i giorni a disposizione, decidiamo di cambiare
destinazione: il Madagascar, a detta della nostra brava
organizzatrice, luogo altrettanto interessante da un punto di vista
marino e naturalistico. Non ero molto convinta, ma mi sono adeguata.
Dopo attente ricerche per non finire nel “solito” villaggio
turistico (ce ne sono anche lì sull’isola principale, Nosy Be) e
preparando una valigia piena di farmaci, costumi, repellenti
antizanzare e creme solari con filtri altissimi partiamo, certamente
non ancora consci della grande avventura che avremmo
vissuto.
Il Madagascar, a molti
noto dopo i film d’animazione di grande successo della Dreamworks,
è un’enorme isola dell’Oceano indiano, la quarta più grande del
mondo, al largo della costa orientale dell’Africa e di fronte al
Mozambico, nazione indipendente dal 1960, dopo tanti anni di
colonialismo francese, già conosciuta dagli occidentali ai tempi di
Marco Polo, che la cita come isola sperduta e misteriosa nel
suo Milione. Questo curioso e affascinante paese ospita da solo
il 5% delle specie animali e vegetali di tutto il mondo, di cui l’80%
endemiche. Fra gli esempi più eccezionali, i lemuri, le numerose
specie di camaleonti e i tipici baobab.
Decidiamo di visitare
solo le isole minori e di bypassare l’entroterra, per il poco tempo
(dodici giorni) e per la nostra passione per i fondali marini. E così
arriviamo Nosy Be (“isola grande” in malgascio, la lingua
ufficiale parlata dalle diciotto etnie presenti, oltre al francese)
con un comodissimo volo charter diretto Roma – Nosy Be della
compagnia Neos, purtroppo utilizzabile soltanto se si prenota un
pacchetto con le agenzie. Colpisce subito l’aeroporto, un insieme
di capannoni accorpati in mezzo ad una natura rigogliosa. Appena
varcata la soglia, i contrasti. Molte le persone che si
avvicinano, offrendo servizi di qualsivoglia tipo, dal facchinaggio
al cambiavalute, alla lettura della mano. E ti accorgi subito che
tutti parlano un fluente italiano, “perché noi, dal 2006, abbiamo
avuto un boom di turisti italiani”, spiega un locale. “Salvati”
dai referenti del tour operator, veniamo accolti con corone di fiori
e condotti ad un pulmino che ci porta al resort prenotato, il Coral
Noir.
La guida italiana, una giovane biologa marina partenopea, trapiantata da quattro anni per ricerche e lavoro sull’isola, ci racconta della vita a Nosy Be. Non immaginavo di trovare nostrani “cervelli in fuga” in un luogo così lontano. Nel tragitto di 45 minuti entriamo subito in contatto con una realtà forte, fatta di villaggi poverissimi accanto a ville di europei (in particolare italiani e francesi) che decidono di vivere la propria età della pensione in un luogo dove, con 30.000 euro, puoi costruire una residenza da sogno con piscina sulla spiaggia e vivere sereno. E, al confronto con noi, quasi senza pagare tasse. Accanto alle strade si affastellano coloratissime attività commerciali, mercati, bar, abitazioni di lamiera, bambini scalzi, cotoni ricamati ed esposti per i turisti, profumi e afrori e la sensazione di essere tornati indietro in un tempo indefinito. Lì viviamo due giorni intensi, fatti di gite in barca verso isole degne di un racconto di Salgari, come Nosy Komba o Nosy Tanikely, passeggiate a cavallo al tramonto su altipiani abitati da zebù (bovini locali dotati di corna articolate ed una curiosa gobba sul dorso), snorkeling in mezzo a tartarughe marine, pesci di barriera e innumerevoli coralli, deliziosi pasti a base di riso locale (i malgasci ne sono i primi consumatori mondiali) con latte di cocco, gustosi pesci arrosto e filetti di zebù. Ma il bello doveva ancora venire.
La guida italiana, una giovane biologa marina partenopea, trapiantata da quattro anni per ricerche e lavoro sull’isola, ci racconta della vita a Nosy Be. Non immaginavo di trovare nostrani “cervelli in fuga” in un luogo così lontano. Nel tragitto di 45 minuti entriamo subito in contatto con una realtà forte, fatta di villaggi poverissimi accanto a ville di europei (in particolare italiani e francesi) che decidono di vivere la propria età della pensione in un luogo dove, con 30.000 euro, puoi costruire una residenza da sogno con piscina sulla spiaggia e vivere sereno. E, al confronto con noi, quasi senza pagare tasse. Accanto alle strade si affastellano coloratissime attività commerciali, mercati, bar, abitazioni di lamiera, bambini scalzi, cotoni ricamati ed esposti per i turisti, profumi e afrori e la sensazione di essere tornati indietro in un tempo indefinito. Lì viviamo due giorni intensi, fatti di gite in barca verso isole degne di un racconto di Salgari, come Nosy Komba o Nosy Tanikely, passeggiate a cavallo al tramonto su altipiani abitati da zebù (bovini locali dotati di corna articolate ed una curiosa gobba sul dorso), snorkeling in mezzo a tartarughe marine, pesci di barriera e innumerevoli coralli, deliziosi pasti a base di riso locale (i malgasci ne sono i primi consumatori mondiali) con latte di cocco, gustosi pesci arrosto e filetti di zebù. Ma il bello doveva ancora venire.
Dopo quattro ore di
navigazione rocambolesca su una piccola imbarcazione a motore (con
necessaria sosta fisiologica presso una lussureggiante isoletta,
abitata da una comunità di soli cinquanta pescatori), arriviamo alla
meta prefissata. Circondata interamente dalla barriera corallina,
ecco l’isoletta di Nosy Saba (isola piana): il paradiso terrestre
con un solo, esclusivo, resort. Ci accolgono il direttore Charles, un
francese che vive da anni in Madagascar e gestisce questa isola
privata da sogno, e il bravissimo Parfait, la nostra guida locale,
che parla addirittura un fluente torinese. Veniamo a sapere che siamo
sei clienti in tutto.
L’isola è un microcosmo, una realtà a sé stante composta da bungalow extra lusso e alcune strutture più grandi, quali la reception e due ristoranti, accanto ad un villaggio di coloro che lavorano stabilmente a Nosy Saba, una cinquantina di persone. Coltivano la terra, allevano animali e, in caso di necessità, si rivolgono al medico dell’isola, una sorta di punto di riferimento e persino “psicologo” dell’intera comunità. Scopriamo che la clientela è quasi esclusivamente italiana. Professionisti e imprenditori, coppie in cerca del luogo dei sogni, “honeymoon” perfette. Viviamo per una settimana veramente fuori dal mondo, senza internet e cellulari (si è connessi solo in una specifica e circoscritta area), coccolati da uno staff impeccabile, molto affettuoso e viziati da uno chef eccezionale e da massaggi nella bella Spa. Esiste un servizio gratuito di marinai pronti a portarti con un motoscafo in ogni angolo, spiaggia o atollo dell’isola, per fare snorkeling o immersioni.
L’isola è un microcosmo, una realtà a sé stante composta da bungalow extra lusso e alcune strutture più grandi, quali la reception e due ristoranti, accanto ad un villaggio di coloro che lavorano stabilmente a Nosy Saba, una cinquantina di persone. Coltivano la terra, allevano animali e, in caso di necessità, si rivolgono al medico dell’isola, una sorta di punto di riferimento e persino “psicologo” dell’intera comunità. Scopriamo che la clientela è quasi esclusivamente italiana. Professionisti e imprenditori, coppie in cerca del luogo dei sogni, “honeymoon” perfette. Viviamo per una settimana veramente fuori dal mondo, senza internet e cellulari (si è connessi solo in una specifica e circoscritta area), coccolati da uno staff impeccabile, molto affettuoso e viziati da uno chef eccezionale e da massaggi nella bella Spa. Esiste un servizio gratuito di marinai pronti a portarti con un motoscafo in ogni angolo, spiaggia o atollo dell’isola, per fare snorkeling o immersioni.
L’eccezionalità
dell’isola è nel suo ecosistema ricchissimo. Sei laghi naturali,
pinete e foreste primarie, vaste vallate frequentate solo da zebù
solitari. Un mare all’altezza di quello maldiviano con fondali
ricchissimi arricchiti dalla frequente visita di tartarughe marine,
delfini e persino balene. Alberi abitati da rari lemuri con gli occhi
azzurri (che ogni giorno si avvicinano alla reception attratti da un
grande albero di papaia), una infinita varietà di uccelli chiassosi,
pappagalli, colibrì e volpi volanti. Rettili impassibili, granchi e
paguri giganti delle palme. La mattina le donne dell’isola, con
curiosi turbanti in testa, pescano con le reti e cercano molluschi
con conchiglie enormi approfittando della bassa marea, intonando
canzoni e ridendo di gusto. La sera i tramonti tolgono il fiato. La
notte si assiste ad uno spettacolo indimenticabile: un cielo stellato
che noi europei non possiamo immaginare.
Questa impareggiabile
natura ci ha regalato qualcosa di unico, oltre alla consapevolezza di
una vita diversa da quella disumana che ormai si conduce in
Occidente, qualcosa che non scorderemo mai per il resto della nostra
vita. L’ultima sera, proprio dinanzi al nostro bungalow e
nell’oscurità illuminata solo da una mezza luna rossa sull’oceano,
abbiamo potuto assistere alla deposizione di una bellissima tartaruga
marina. Un momento unico e incredibilmente emozionante. Un’esperienza
che ci ha certamente fatto dimenticare rapidamente i successivi
disguidi aeroportuali. Un nonnulla di fronte alla Bellezza
dimenticata della natura di un’Africa tutta da ri-scoprire.
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