lunedì 23 febbraio 2015

Ucciso per aver denunciato il maschilismo



Il 2 novembre 2004 il regista olandese Theo van Gogh si alza per andare al lavoro presso la sua società di produzione cinematografica, ad Amsterdam. Lungo il tragitto il marocchino Muhammad Bouyeri gli va incontro, estrae la pistola e gli spara. Theo cade dalla bici, si trascina sul lato della strada e poi crolla a terra. Mentre Theo lo implora di risparmiarlo "possiamo parlarne?", Bouyeri esplode altri 4 colpi. 



Poi impugna il coltello e gli taglia la gola. Con un altro coltello sferra un ultimo colpo lasciandogli la lama conficcata nel corpo a trattenere il suo messaggio: una lettera di 5 pagine indirizzata ad Ayaan Hirsi Ali, rifugiata in Olanda in fuga dall'islam e da un matrimonio combinato, con la quale Theo aveva realizzato insieme un cortometraggio in cui si rappresentava la ribellione di alcune donne musulmane devote e sottomesse al credo islamico, che tuttavia osano volgere direttamente lo sguardo a Dio, sordo alle loro preghiere. 

Con i versetti del Corano tatuati sulla pelle, esse supplicano Allah di salvarle dalle loro sofferenze, ma di fronte al suo silenzio si ribellano a lui e al proprio destino. Il film racconta le loro storie: la prima viene frustata per essersi concessa all'uomo di cui si era innamorata; la seconda è costretta a sposare un uomo che trova ripugnante; la terza viene picchiata regolarmente dal marito e l'ultima è una figlia ripudiata dal padre dopo essere stata violentata dallo zio. Qualsiasi abuso appare giusto agli occhi di un musulmano che lo commette in nome di Dio, ed è legittimato dai versetti del Corano che sono scritti indelebilmente sui corpi di queste donne. Esse rappresentano centinaia di migliaia di musulmane in tutto il mondo. 

Bouyeri, l'assassino, dal carcere rivendica orgogliosamente il suo gesto dichiarandosi pronto a rifarlo e riceve apprezzamenti e sostegno esterno da parte di enti islamici di beneficenza. Ayaan Hirsi Ali ha dovuto lasciare l' Olanda dove non le garantivano più protezione e vive ora negli Stati Uniti. Theo van Gogh, che nonostante le minacce e il suggerimento di togliere la sua firma dai titoli di testa del film, indignato affermava: " Se non posso firmare col mio nome il mio film nel mio Paese, allora l'Olanda non è più l'Olanda, e io non sono più io!", è finito nell'oblio e viene malvolentieri ricordato, persino il giorno del decimo anniversario del suo assassinio passato all’insegna del fastidio e dell’autocensura. Anche gli artisti non parlano dell’omicidio Van Gogh “per evitare di creare divisioni”. Tradotto: hanno paura. L'artista Chris Ripke reagì dipingendo un murale sul muro esterno del suo studio: un angelo, la data di morte del suo assassinio e la scritta "Gij zult niet doden" (non uccidere). I musulmani di una moschea vicina denunciarono il fatto al sindaco come offensivo e questi inviò subito la polizia a cancellarlo. Il reporter Wim Nottroth che ne ha documentato la distruzione e tentò di ostacolare l'esecuzione dell'ordinanza è stato poi arrestato. Afshin Ellian, intellettuale dissidente iraniano esule in Olanda da vent’anni, ha scritto che “Bouyeri ha trascinato nella paura la società olandese, soprattutto accademici, opinionisti e politici”. Come disse Theo van Gogh, "possiamo parlarne?".

6 commenti:

  1. Non ci sono parole per esprimere la crudeltà che anima certi uomini. Grandissima ammirazione per questo regista che con grande coraggio ha documentato storie di soprusi e violenza. Colui che lo ha ucciso non merita di essere ricordato....il nulla assoluto.

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    1. Purtroppo, di "nulla assoluti" ce ne sono a migliaia, pronti ad entrare in azione, indipendentemente dal fatto che siano il prodotto di manipolazione mentale a base di microchip o altre diavolerie elettromagnetiche, sia che a renderli così violentemente ottusi sia stata la loro religione, oppio dei popoli e generatrice di schiavi obnubilati.

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  2. "possiamo parlarne?"
    Direi di no, se dall'altra parte non c'è alcuna predisposizione al dialogo.

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    1. Una delle cose che ho imparato facendo il maestro elementare è che i bambini si mettono le mani addosso perché non hanno gli strumenti linguistici per risolvere le controversie con il dialogo.

      Ne consegue che certi popoli sono immaturi e vivono la stessa condizione dell'infanzia del singolo individuo.

      Questo può essere successo per motivi genetici o per cause culturali e il maggior sospettato, in questo secondo caso, è il Corano.

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    2. I bambini si mettono le mani addosso per mancanza di strumenti linguistici per risolvere una diatriba, gli adulti lo fanno per motivi culturali, come hai detto, pur avendo lo strumento del dialogo.

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    3. Nel momento in cui due popoli, per esempio quello arabo e quello anglofono, parlano due lingue diverse, viene meno anche lo strumento del dialogo e quindi c'è una specie di ritorno all'infanzia.

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