Fonte: Il Tirreno
MANCIANO. Hanno chiuso
in anticipo le pecore nei recinti, pur di esserci. Alcuni sono scesi
dall’Amiata, altri sono partiti dalla Maremma, altri ancora
venivano dall’alto Lazio. Hanno gremito la sala per parlare e
raccontarsi, ancora una volta. Tutti col pensiero alle pecore che non
lasciano mai. «Se non ora, quando? Il tempo è scaduto. Le pecore
sono finite». Quasi un epitaffio, questo, sulla tomba
dell’allevamento maremmano e non solo maremmano. A Manciano (Grosseto),
nel simbolico capannone del Caseificio in un’assemblea fiume di
cinque ore fino oltre l’una di notte, circa trecento pastori,
esasperati per le continue predazioni di greggi da parte di cani
inselvatichiti, ibridi e lupi, la sera di martedì 23 hanno sigillato
l’incontro con un’estrema decisione: far pressione per modificare
la direttiva Habitat, quella che non permette né l’abbattimento
dei lupi né la loro rimozione dal territorio. Varato anche il
progetto di una grande manifestazione da tenersi o a Firenze o a Roma
per dare risonanza nazionale a un problema che sta svuotando pascoli
e ovili.
Una situazione
incancrenita e resa incandescente anche da gesti plateali, come la
serie di lupi uccisi ed esposti in piazza in vari paesi della
provincia l’anno scorso. Non hanno alleviato la pressione
predatoria neanche i costosi progetti messi in campo per salvare
capra e cavoli, pecore e lupi. E d’altra parte i numeri parlano
chiaro: dal 1º gennaio ad oggi l’Asl di Grosseto ha registrato in
provincia circa 270 fenomeni predatori (cani e lupi) con circa 600
pecore morte. Un numero da raddoppiare, si ipotizza, perché in molti
casi gli attacchi nemmeno vengono denunciati. Secondo i dati forniti
dalla Banca dati nazionale dell’Anagrafe Zootecnica del Ministero
della salute, gli allevamenti ovini aperti nel 2004 in provincia di
Grosseto erano 1698; 1161 nel 2015. Gli allevamenti ovini chiusi nel
2004 erano 174; 1510 nel 2015. I capi ovini nel 2006 erano 257.401;
202.750 nel 2015. Gli allevamenti sono diminuiti del 31,5 per cento e
il numero degli ovini del 21.
Un tracollo che fa un
danno irreparabile anche al miglioramento genetico. Senza parlare del
danno economico: una perdita di 600 capi corrisponde a circa 1,5
milioni di euro. Tutto questo sono andati a raccontare i trecento
allevatori a Manciano. Avevano invitato sindaci e associazioni di
categoria, rappresentanze tecniche dell’Asl e della Provincia di
Grosseto. «Vogliamo sentir parlare i sindaci e capire da che parte
stanno», ha esordito Massimiliano Ottaviani di Baccinello
(Scansano). In tutti, tanta rabbia,
ma senza rassegnazione. Coraggio, invece, e voglia di capire se le
istituzioni possano essere dalla loro parte per avviare il difficile
percorso di revisione della legge europea. Il quadro l’ha
dipinto in poche battute Carlo Santarelli, presidente del Caseificio:
«I nostri autotreni – dice – ormai fanno la spola per
raccogliere, per lo smaltimento, le pecore uccise: trenta al giorno.
In cinque mesi, è stato perduto il 10 per cento di latte rispetto
all’anno scorso. Gli indennizzi, col capestro del de minimis (non
più di 15.000 euro spalmati in tre anni) non servono. Siamo qui per
avere l’appoggio di tutti, istituzioni comprese, per preparare un
documento da presentare alla nuova giunta toscana e dare una sterzata
alla rotta».
La situazione è
drammatica in un territorio una volta imperniato su pastorizia e
agricoltura. «Oggi non si sente più nemmeno il campano di una
pecora. I territori sono deserti, le strade impercorribili. Io vado
avanti a suon di prestiti in banca», dice Franco La Barba di
Roccalbegna. Eppure non si molla.
«Finché avrò la forza, farò l’allevatore – dice Virgilio
Manini di Saturnia (Manciano) – molti si prendono gioco di noi, ci
vogliono tappare la bocca con gli indennizzi, ma noi reclamiamo il
costo dell’intero danno subito. Bloccheremo le strade, andremo coi
trattori fino a Roma o a Firenze. Mi metterò in spalla un cartello e
ci andrò anche a piedi». Frenano però il
veterinario capo dell’Asl 9, Paolo Madrucci e il funzionario
provinciale Fabio Fabbri. «Gli allevatori sono così forti per
cambiare la norma sul lupo? Temo di no», dice il primo. Eppure gli allevatori
ci vogliono provare. E hanno incassato il sostegno dei sindaci Diego
Cinelli di Magliano, e Luigi Bellumori di Capalbio, spalleggiati da
Massimo Galli, di Roccalbegna e Massimo Biagini di Farnese, Miranda
Brugi di Semproniano, Sabrina Cavezzini di Scansano e Marco Galli di
Manciano. Anche Coldiretti e Cia, alla fine, si sono dette d’accordo
a presentare a Firenze un documento per avviare l’iter che porti in
Europa. Una lunga trafila che adesso, però, fa meno paura.
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