Fonte: Panorama
Il fisico è ancora asciutto e
atletico, ma il volto segnato dalle rughe e baffi e chioma
innaturalmente scuri rivelano che gli anni sono passati anche per
lui. Travis Walton era solo un ragazzo quando fu
protagonista di una vicenda a dir poco sconcertante-
la prova dell’esistenza degli Alieni per i suoi
sostenitori, una clamorosa menzogna per i suoi detrattori.
Oggi è un 63enne di bell’aspetto che gira il mondo per raccontare
la sua storia e per dire che no, non si è inventato nulla. Alla fine di settembre era a Milano,
ospite del meeting Figli delle Stelle promosso
da Extremamente. Un ospite molto atteso che non ha deluso
il suo auditorio. Davanti ad un pubblico attento ha riavvolto
il nastro dei ricordi ed è tornato indietro fino a quel giorno di
quasi 41 anni fa- il giorno in cui la sua vita è cambiata per
sempre, il giorno in cui sarebbe entrato in contatto con una realtà
extraumana. Ma ha anche inquadrato in un nuovo modo la sua
esperienza di addotto- forse il più famoso del mondo- e spiegato che
il suo rapimento, in fondo, tale non è stato. “È
stata un’operazione di soccorso”, ha dichiarato.
La data per sempre scolpita nella sua
mente è quella del 5 novembre 1975. Stava facendo buio e
insieme ai suoi colleghi- sei taglialegna di Snowflake, Arizona-
tornava a casa dopo una giornata di lavoro nei boschi.
All’improvviso, tra i rami degli alberi videro lampeggiare
una luce insolita. “All’inizio credevo che fosse la luna, ma poi
ho capito che non poteva essere… Era un bagliore di color
giallastro, almeno così mi sembrava”, ha ricordato uno dei suoi
compagni, John Goulette, testimone oculare di quei fatti,
intervistato da Jennifer Stein per il nuovo docufilm che ricostruisce
la vicenda. Ancora inedito in Italia, si intitola “Travis- The
True Story of Travis Walton”.
Mentre i sei amici restavano a guardare
stupefatti, Travis- allora 22enne e forse un po’ incosciente-
si precipitava fuori dal furgone avvicinandosi curioso a
quell’oggetto luminoso, sospeso a mezz’aria a qualche metro
da terra tra gli alberi della foresta. Arrivato a pochi passi
dallo scafo, col cuore in gola per la paura, l’imprevisto: una
scarica elettrica lo colpì in pieno, lasciandolo tramortito a
terra.
"Non penso che sia stato un
raggio emesso volontariamente, ma una scarica del tutto accidentale,
per quanto molto intensa"- ha spiegato al pubblico. "I miei
amici sono scappati perché credevano che fossi morto. Non è
giusto considerarli dei codardi, Mike (il suo caposquadra, N.d.A.)
doveva salvaguardare il gruppo. E poi bisogna dar loro il merito che
sono tornati a cercarmi. Credevano di trovare un cadavere fatto a
brandelli o carbonizzato. Invece, il mio corpo non c'era, ma c'era
quell'oggetto che si stava alzando in aria. E lo videro anche
dei campeggiatori, quella notte."
Per cinque giorni, Travis sarebbe
rimasto all’interno di quella astronave, nel panico, circondato da
esseri sconosciuti dalle intenzioni per lui poco chiare, alcuni con
le caratteristiche degli alieni Grigi, gli altri invece
riconducibili forse alla tipologia dei Nordici. “Sì, ho visto due
diversi tipi di Extraterrestri”, ha confermato quando l’ho
intervistato. “Inizialmente, pensavo che i secondi- dato che
assomigliavano molto agli umani- fossero personale di una
qualche agenzia terrestre, magari dell’Aeronautica Militare o
cose del genere, ma adesso credo davvero che si trattasse di Alieni
dall’aspetto simile al nostro.
Potrebbero passare inosservati tra
la gente della Terra e magari qualche volta davvero si muovono
in mezzo a noi… Gli scettici provano ad obiettare: biologicamente
gli Alieni non possono avere due braccia, due gambe, devono essere
piuttosto simili a piovre o ad insetti… Ma io non sono
d’accordo, anzi penso che qualunque creatura in grado di costruire
quei macchinari che possono attraversare lo spazio e percorrere
quelle distanze viaggiando da altre stelle, deve assomigliare molto
agli esseri umani- almeno in apparenza. Lo dico sulla base del
principio biologico che vale per gli animali della Terra: se
vivono nello stesso ambiente sono molto affini, anche se sono uno
estraneo all’altro”.
Il 10 novembre 1975, Travis riapparve
all’improvviso com’era sparito. Disidratato, con la barba
lunga e con gli stessi abiti che indossava cinque giorni prima- e che
non avrebbero potuto proteggerlo dal freddo delle notti quasi
invernali di Snowflake. Lo sceriffo che lo aveva inutilmente
fatto cercare battendo le foreste con i suoi uomini, i cani, gli
elicotteri, credeva che il ragazzo fosse stato ucciso dai colleghi.
Quando Travis tornò, invece, si convinse che l’intera storia fosse
un colossale inganno e fece di tutto per dimostrarlo. “In tutti questi anni, ho
superato cinque test della verità, effettuati da 3 diversi
esaminatori, tutti con molti anni di esperienza alle spalle, gente
molto competente e professionale nel condurre gli interrogatori”,
mi ha assicurato Walton. Impossibile, dice lui, che abbia saputo
ingannare ogni volta quella macchina, il poligrafo, tarata
proprio per scovare dal battito cardiaco alterato l’emozione che
nasconde una bugia. “Non c’è possibilità che ci siano
stati errori nel test della verità. È la stessa
tecnologia che FBI e CIA usano ancora oggi. “
Ma molti ovviamente pensano che
il suo racconto sia falso, che quel giorno lui e gli amici si
siano messi d’accordo per realizzare la burla del secolo o che-
magari- qualche spinello di troppo abbia annebbiato i loro sensi e i
loro ricordi. “C’è stato anche un tentativo mascherato
di discreditare la vicenda, utilizzando tutte le tecniche
di propaganda da manuale, ma io ho affrontato ogni teoria e
dimostrato che nessuna di queste interpretazioni aveva alcun senso,
come ad esempio il tentativo di sostenere che sia
stata un’allucinazione di massa o persino
un’allucinazione prodotta dalla droga. Sette persone non
possono avere le medesime visioni!”, ha obiettato l’ex
taglialegna.
Di sicuro, in tutta questa strana
situazione, c’è il ciclone mediatico che lo ha
investito. La stampa, già in quel lontano 1975, ha cavalcato la sua
storia e da allora Travis Walton non è mai uscito dalla luce dei
riflettori.
Prima con il suo libro “Fire in the Sky”, poi con il
film ispirato alla sua vicenda (ma pieno di inesattezze e forzature,
sostiene lui) con il titolo in italiano “Bagliori nel buio” e ora
con questo documentario diretto dalla Stein che ha partecipato a vari
festival negli Stati Uniti. Su di lui è stato detto e scritto
di tutto. Ma la sua vita - dice- “è stata completamente stravolta,
in ogni senso. Ho perso il lavoro, tutti guardavano con sospetto me,
i miei amici, i miei famigliari. E molte scelte professionali che
avrei potuto fare mi sono state precluse alla luce di quanto è
accaduto.” Ma cosa è veramente accaduto? A dar
credito a lui, qualcosa di incredibile e di
meraviglioso insieme. Oggi, a distanza di tanti anni, il terrore
ha lasciato il posto alla riconoscenza. L’incubo che
pensava di aver vissuto sembra adesso una disavventura a lieto
fine. Me lo ha confessato senza mezzi termini. “All’epoca, ho
vissuto quell’esperienza in modo estremamente drammatico, ci ho
messo molto tempo ad accettare l’idea di essere stato rapito.
Ma in 41 anni ho gradualmente, molto
gradualmente, elaborato un'altra idea: più che un rapimento, è
stato come l’intervento di un’ambulanza, è
stato necessario portarmi a bordo per rianimarmi.”
Quindi, ti hanno salvato? “Sì, mi hanno salvato da me
stesso. Sono stato proprio uno sciocco ad avvicinarmi così
tanto, fino al punto di farmi del male, e loro si sono trovati nelle
condizioni di dovermi soccorrere.”
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