sabato 16 dicembre 2017

Anche le nutrie vanno bene, pur di non parlare di geoingegneria



«Quando si rompe un argine, non è mai colpa del fiume. Le alluvioni? Si smetta di essere ipocriti e di dare la colpa alle nutrie. Le amministrazioni comunali cadono dal pero quando succedono queste cose, ma chi ha dato le concessioni edilizie per costruire case in area golenale? Loro. E se le case finiscono allagate, vuol dire che lì non dovevano starci…». Boom. Come un vulcano che erutta. Sono roboanti le parole di Mario Tozzi, noto geologo, divulgatore e primo ricercatore del Cnr (conosciuto anche per diversi programmi tv di carattere scientifico) commentando l’esondazione dell’Enza a Lentigione.

Professor Tozzi, cosa si nasconde solitamente dietro alla rottura di un argine? 
«Quando si rompe un argine, non è mai colpa del fiume. Significa che è mal fatto rispetto alle portate previste o all’asse del fiume. Non venite a dirmi che hanno dato la colpa alle nutrie pure stavolta…»


È una delle ipotesi emerse.
«La nutria è un animale che vive in quell’ambiente. Non ha interessi a provocare un’alluvione. Nel mondo naturale le cose funzionano in modo sensato. L’eccesso di nutrie può influenzare, ma queste cose non accadono nemmeno negli ambienti liberi coi castori. Prima di dare la colpa alle nutrie starei un attimo attento a scaricare il barile».

C’è la mano dell’uomo dunque? 
«Il cambiamento climatico influisce, ma l’Italia ha il record europeo di frane: quasi 610mila su 800mila censite in tutta Europa (di cui 80mila nell’Appennino della nostra regione, ndr). Questo indica che abbiamo costruito dove non si doveva. Nelle golene di tutti i fiumi. Quando c’è l’acqua attorno alle case, sono quest’ultime ad essere nel posto sbagliato. Questo Paese consuma 8 metri quadrati al secondo di territorio. E non finiscono nel rischio, ma lo creano. Sono stanco di sentire discorsi ipocriti. Ci si attacca al fatto che le piene erano bicentenarie, ma ora avvengono ogni vent’anni. E che facciamo? Le cose sono cambiate».

Situazione irreparabile?
«C’è solo un rimedio per i fiumi. Vanno rinaturalizzati, lasciati liberi di esondare dove non fanno danni perché è lì che si crea l’elasticità fra fiume e territorio. Fare argini significa bloccare questo rapporto. Il fiume trae alimentazione dalle falde che sono dentro al territorio, dunque è la maniera sbagliata di governarli. Il Po addirittura scorre sopraelevato in alcuni punti per quanto abbiano costruito argini. Non ci sono altre risposte che allontanare i centri abitati da queste zone. Il resto sono ipotesi ingegneristiche che fanno ridere. Trasformare i fiumi in canali forse controlla temporaneamente le alluvioni, ma spezza la bellezza italiana».

Spostare interi paesi, abbiamo capito bene?
«Sì. Frazioni e abitazioni a rischio vanno spostate. Se l’argine del fiume lo fanno le case, non ci siamo, creiamo instabilità territoriale».

E chi deve farlo? 
«Più che il Governo sono i Comuni a doversi muovere. Mi fanno ridere. Hanno voluto le autorità di bacino che diceva di non costruire case nelle zone golenali, ma poi i sindaci insorgevano. Comuni e regioni hanno fatto carne di porco di questo territorio, adesso si lamentano. Ci spiegassero chi ha dato le concessioni edilizie. E chi non ha demolito quando era ora. Bisogna smetterla di concedere loro facilmente lo stato d’emergenza, perché non esiste la calamità naturale, ma solo la nostra incapacità di fronteggiare gli eventi naturali. È colpa dell’uomo».

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