sabato 16 dicembre 2017

Contatori di frottole


Quando Cesara Buonamici, con la sua aria da professoressa, ha detto: “Ora vi facciamo vedere un numero mostruoso”, ho pensato per un attimo che il TG5 delle 20 di venerdì avrebbe mostrato qualche esibizione trapezistica o di genere circense, come si usa alla fine dei telegiornali quando vengono date notizie di alleggerimento. E invece, si trattava proprio di un numero di parecchi milioni che aumenta continuamente, contando unità, decine, centinaia, migliaia, ecc. Era il numero del cosiddetto debito pubblico e la buona Cesara, facendoci sentire tutti più meschini, dava per scontato che abbiamo una classe politica spendacciona che il denaro pubblico lo spreca allegramente. “A Cesara, nun ci sta a pjà per culo!”, verrebbe da dire alla francese. La nostra classe politica, più che spendacciona è serva di quei poteri forti, leggi banche, alias ebrei, che fanno dire a te mezze verità e mezze bugie, che ti pagano lo stipendio e che lo pagano ai membri della classe politica stessa. Con i nostri soldi! Noi già lavoriamo come schiavi, siamo tassati all’inverosimile e quel debito semplicemente non esiste.


Tanto per cominciare, avresti dovuto specificare che quei numeretti impazziti che aumentano ininterrottamente sono gli interessi sul debito e non il debito in sé. Poi, cosa più importante, avresti dovuto spiegare al gregge dei telespettatori che l’usura internazionale è riuscita, in un primo momento, a convincere la classe politica a prendere a prestito il denaro che stampa, gravato di interesse. Poi, in un secondo momento, non ha più avuto bisogno di convincere nessuno giacché è lei stessa, l’usura internazionale ebraica, a nominare i componenti della classe politica, rinchiudendosi così in una botte di ferro, onde evitare i colpi di matto di qualcuno che dovesse prendere sul serio il proprio mandato elettorale. E’ successo per esempio a Lincoln, Kennedy e il nostro Aldo Moro, tutti e tre fatti fuori per aver voluto riportare la stampa della moneta nelle mani dello stato.


Ricordo che, nel luglio del 2001, uno degli slogan urlati nei cortei di Genova era: “Drop the debt!”, cancella (o lascia cadere) il debito. Si riferiva al debito dei paesi del terzo mondo e l’invito era rivolto ai rappresentanti del G8 che si teneva in quella città, dove fra l’altro facemmo conoscenza per la prima volta dei Black Bloc. Ora che anche l’Italia è diventata un paese del terzo mondo, perché così hanno deciso gli usurai internazionali, il principio del “Drop the debt” può applicarsi anche a noi, e anzi deve essere applicato all’Italia perché gli italiani stanno già lavorando come muli e non vogliono essere presi in mezzo nelle dispute tra Chiesa cattolica ed ebraismo. Ovvero, in altre parole, non vogliamo pagare il fio della vendetta che gli ebrei si stanno prendendo sul cattolicesimo romano. Non ne abbiamo colpa e grazie a te, mia buona Cesara, non ne abbiamo neanche consapevolezza. Subiamo le bastonate e chiniamo il capo, come poveri muli.

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