Fonte: Radio Popolare
Zainetto in spalla, i capelli
scurissimi raccolti in una coda, Bertha Isabel Cáceres sta
girando l’Europa insieme ad alcuni parlamenti europei per chiedere che venga
fatta giustizia alla morte della madre, Berta Cáceres, attivista per
i diritti delle comunità indigene nell’Honduras, uccisa a marzo di
quest’anno con otto colpi di pistola nel suo appartamento. Un
omicidio politico, secondo le Organizzazioni dei diritti umani, per
aver combattuto per anni, da quando un colpo di stato favorì le
multinazionali e i latifondisti, i progetti di estrazione mineraria e
di costruzione di una centrale idroelettrica su un fiume considerato
dal popolo Lenca sacro. Una battaglia che le valse un premio
internazionale, il Premio Goldman, per la difesa dell’ambiente, un
riconoscimento che portò in primo piano le battaglie delle comunità
indigene dell’Honduras, una lotta per resistere e continuare a
vivere con dignità e rispetto nelle loro terre, ma portò anche un
accanimento ulteriore, con minacce e denunce continue contro
l’attivista per i diritti umani. Per questo dietro alla sua morte,
così come altri omicidi rimasti irrisolti, sua figlia vede la mano
di chi difende gli interessi enormi legati alla centrale
idroelettrica, con la complicità dei militari.
Ora chiede una commissione indipendente
che indaghi sulla morte della madre e per il riconoscimento dei loro
diritti. Berta Cáceres contribuì a fondare il Copihn, il Consiglio
delle Organizzazioni popolari dell’Honduras, ma la vita degli
attivisti dal colpo di stato del 2009 in poi si è fatta difficile.
In rapporto alla popolazione, è lo stato con il maggior numero di
attivisti uccisi: solo nel 2014 vengono uccisi 12 ambientalisti. Ma la storia di Berta Cáceres è anche
una storia di donne che si battono per i diritti delle popolazioni
indigene. Lo aveva fatto sua madre, che oggi ha 87 anni, ed è stata
anche la prima sindaca dell’Honduras, e probabilmente in prima
linea ci sarà anche la figlia, che della madre porta il nome, Berta.
Bertha Isabel Caceres ha 26 anni, studia in Messico per diventare
maestra. Oggi era alla Camera dei deputati per un’audizione nella
Commissione diritti umani. L’abbiamo intervistata.
Berta Cáceres
“Da quando mia madre è stata uccisa
abbiamo sempre pensato che una commissione indipendente sia l’unica
possibilità per arrivare alla verità e alla giustizia per questo
omicidio, che è un omicidio politico di cui hanno responsabilità le
istituzioni honduregne. Dall’inizio abbiamo assistito a delle
irregolarità nelle inchieste, indagini mal fatte, alcuni episodi che
ci hanno fatto dubitare che si possa mai arrivare alla verità e
alla giustizia. L’Honduras è uno dei Paesi con il tasso di
impunità piu alto, non si è mai arrivati a conoscere gli esecutori
materiali degli omicidi, e dei crimini, ma soprattutto chi li ha
organizzati e decisi, e questa richiesta, questa missione nei Paesi
europei pensiamo che sia l’unica possibilità di avere giustizia
nel caso di mia madre. La commissione intra-americana di diritti
umani ha accettato ci creare questa commissione insieme alla
commissione diritti umani dell’Unione europea, ma lo Stato
dell’Honduras non ha mai risposto, e questo ci preoccupa perché se
i processi si fanno nel rispetto della legge e come si deve non ci
sarebbe niente da temere. La commissione indipendente deve verificare
che tutto si svolga correttamente. Da qui la decisione di venire
in Europa, per avere un sostegno politico, poiché si tratta di organismi che hanno
una voce più forte e che possono essere ascoltati più facilmente
dalle autorità onduregne”.
C’è una volontà politica affinché
non si arrivi mai alla verità?
“Sono state trafugate copie e
documenti dell’inchiesta, c’è stata grande negligenza, si tratta
di un crimine di Stato e quindi è difficile che uno Stato possa
investigare su se stesso, non crediamo che le indagini possano essere
pulite, è stata fatta anche una legge sulla segretezza dei documenti
ufficiali, una legge che rende impossibile avere accesso alla
documentazione dell’inchiesta”.
Quali erano le battaglie che tua madre
combatteva in Honduras?
“Era un’attivista per la difesa
della terra, del fiume, del bosco, del sottosuolo, della vita umana
del popolo Lenca, combatteva, era una lottatrice, antirazzista,
anticapitalista, e antipatriarcale, ed è stata uccisa per queste
battaglie, ha trovato tanti ostacoli negli anni, il mancato
riconoscimento della lotta del popolo indigeno, ma anche
criminalizzazioni, continue minacce, ha affrontato molti processi,
più di 33 denunce, fatte dalla direzione delle imprese
idroelettriche che noi accusiamo della sua uccisione, denunce che non
hanno mai avuto seguito, e questo l’ha esposta all’omicidio”.
Questo nonostante abbia ricevuto il
premo Goldman, un premio prestigioso per il riconoscimento delle
lotte per l’ambiente.
“La lotta per la salvaguardia del
fiume Galcarque e contro la costruzione della diga Agua zarca le fece
vincere questo premio, fu un trionfo per il riconoscimento della
lotta delle popolazioni indigene a poter resistere e continuare a
vivere nei loro luoghi, opponendosi ai soprusi dei latifondisti e del
potere di Stato. Ma le minacce a mia madre sono continuate, hanno
pensato di poter continuare e costruire la diga, nonostante il nostro
no, spostandosi dall’altra parte del fiume, dove vive un’altra
comunità che però ha continuato a opporsi. Il premio però aveva
portato altra visibilità alle battaglie del Copihn, le
organizzazioni popolari dell’Honduras, facendola conoscere anche a
chi non sapeva nulla”.
Da parte della popolazione c’è un
sostegno a queste battaglie, o c’è isolamento e indifferenza?
“Da quando nacque, il Copihn è stata
la prima organizzazione indigena del popolo Lenca e questo gli ha
fatto ottenere il riconoscimento della popolazione honduregna, è
stato molto importante. Tuttavia il suo lavoro, gli obiettivi
dell’organizzazione, sono stati criminalizzati dallo Stato e dai
mezzi di comunicazione che sono parte dell’oligarchia honduregna.
E’ chiaro che c’è stato un conflitto tra il riconoscimento come
forza belligerante per la difesa dei diritti degli indigeni, e una
campagna per mettere in cattiva luce il nostro lavoro, e questo
ha prodotto anche un rifiuto della popolazione, influenzata e
manipolata dai mezzi di comunicazione, portatori degli interessi
delle multinazionali e dei grandi poteri”.
La sua è una famiglia di donne che
hanno combattuto molto per l’ambiente.
“Mia madre è tra le figure più
importanti e riconosciute, ha subito l’influenza di sua madre e
delle altre donne della famiglia, hanno tutte combattuto anche con un
ambiente non favorevole, in un clima generale di impunità, lo hanno
fatto per gli interessi della nostra collettività, è una battaglia
ereditaria, in cui si riconosce il valore della donna, l’insegnamento
a non cadere, a non essere disprezzate, conoscendo le battaglie del
nostro passato, continuando nel presente”.
E’ anche la sua lotta.
“Sì, voglio continuare il lavoro
suo, e non solo suo, ma di tutto il popolo Lenca, delle donne dei
bambini, e farlo con gratitudine, la soddisfazione di poter lottare
insieme al nostro popolo, difendendo ciò che sappiano essere il
nostro diritto”.
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