L’ipnosi a distanza come spiegazione di fatti criminosi

Come immagino saprete, sulle bancarelle di libri usati si fanno delle piacevoli scoperte. In questo caso, nonostante la brutta copertina, che non invoglia all’acquisto, si nasconde un tesoretto d’informazioni. E questa sembrerebbe una cosa tipica: più le copertine sono brutte e più interessante è il libro, anche se non sempre è così. E allora, benché non abbia finito di leggerlo, voglio mettervi al corrente di un’idea che mi è sorta, come capita spesso durante le ore di veglia notturna. Il tema è quello degli atti criminosi violenti apparentemente inspiegabili, o a cui viene data una spiegazione troppo banale per noi complottisti. Tali atti vanno dalle sparatorie americane, nelle scuole o sui posti di lavoro, entrambi eventi che in Italia, al momento, non si verificano (e bisognerebbe chiedersi perché?), agli attentati terroristici di matrice islamica, ai nostrani femminicidi e alle aggressioni di “tipo Kabobo il picconatore”. In quest’ultimo caso, quasi sempre il soggetto, una volta arrestato e sempre che non lo freddino sul posto, non si ricorda cosa ha fatto e dice di aver sentito….delle voci in testa.

Veniamo al libro. L’autrice, la contessa Matilde Izzia di Ricaldone, vi ha raccolto le sue esperienze paranormali, o metapsichiche che dir si voglia. Una in particolare è pertinente con gli atti criminali a cui ho fatto cenno e si è verificata nel 1967. La contessa e suo marito Aldo conoscono un ipnotizzatore e, inizialmente scettici, invitatolo nella loro magione, devono constatarne le sue autentiche doti di controllo sugli altri mediante la forza del pensiero. L’ipnosi è stata banalizzata per il grande pubblico televisivo da personaggi del calibro di Giucas Casella. E questo è stato fatto, analogamente agli avvistamenti di UFO, proprio per indurre le masse a considerarli temi ridicoli e privi di fondamento scientifico. Ovvero, sia sull’ipnosi, che sui dischi volanti, che su altri temi analoghi, è stata alzata una barriera affinché il volgo vi sbattesse contro e non si permettesse di indagare.

Non entro nel merito delle esperienze dell’autrice con l’ipnotizzatore da lei conosciuto, ma se gli studi sul controllo mentale furono cominciati dai militari già negli anni Cinquanta – e tutti noi abbiamo sentito parlare del Progetto MKultra e di quello Monarch – immagino che non si siano limitati alla somministrazione di droghe come l’LSD o ad altre diavolerie basate sulle onde elettromagnetiche, ma abbiano tentato anche la strada della collaudata ipnosi, la cui nascita, se non vado errato, risale all’Ottocento. E forse anche prima. Ecco che, a distanza di settant’anni dall’inizio delle sperimentazioni, i militari americani e russi (senza escludere i cinesi) non possono non aver ottenuto dispositivi o metodi di controllo mentale a distanza di cui vediamo spesso i sanguinosi effetti.

Dalla frase conclusiva del capitolo, la stessa autrice dimostra di sapere che l’ipnosi avrebbe potuto essere usata per scopi malvagi, come infatti oggi sta probabilmente avvenendo. Ecco le sue parole: “Terminammo la cena con molti brindisi in onore dei poteri mentali, augurandoci che, nel giorno ipotetico del loro pieno sviluppo, non diventino strumento di male per tutti”.