Tratto da "Incompatibilità ambientale" - seconda parte. Prima parte QUI
Del
resto Kant si dichiarava estasiato da due cose: il cielo stellato sopra e la
legge morale dentro di sé intendendo probabilmente riferirsi all'intima voce
della coscienza, per lo meno di una coscienza esercitata. Oltretutto, Cosimo
era in regola con le sue argomentazioni poiché sempre più spesso le direttive
ministeriali aggiornavano i propri suggerimenti nel senso umanitario di
rispetto per gli animali.
Bastino alcuni esempi a conferma di ciò. La rivista "I diritti della
scuola" del primo febbraio 1988 dice: "La tutela dell'ambiente e, in
particolare, il rispetto verso gli animali dovrebbero essere una delle basi del
nostro vivere civile, perché è possibile parlare di progresso solamente quando
esso rispecchia e risponde a tutte le problematiche", mentre una
circolare del ministero della Pubblica Istruzione del 1989 afferma: "La
scuola deve creare una nuova cultura che trasformi la visione antropocentrica
in quella biocentrica". Infine, i programmi della scuola materna, risalenti
addirittura al 1969, sottolineano l'importanza di sviluppare nel bambino
"il sentimento di rispetto e di amore per le creature, di fraternità, di
nonviolenza e di amicizia nei confronti degli animali". Insomma, tra il
dire e il fare ci andò di mezzo Cosimo.
Per non parlare della fallacia del ragionamento, basato su falsi
presupposti, secondo cui quelle dei bambini sarebbero "deboli menti". Niente di più sbagliato. Stando a quanto ci dicono i fisiologi, l'apogeo dello
sviluppo fisico e mentale si ha nell'individuo intorno ai quattordici anni e
alcune discipline sportive come la ginnastica artistica e il nuoto lo
testimonierebbero. Tuttavia, molte persone tendono erroneamente a far
coincidere l'età della fanciullezza con una specie di buco nero, di tabula rasa
in fatto di valori morali. Se è vero che la personalità impiega molti anni
della giovinezza a formarsi, è altrettanto vero che un bambino di dieci o
dodici anni può distinguere facilmente il bene dal male, ciò che è giusto da ciò
che è sbagliato, perché ancora privo, nella maggior parte dei casi, di quel
poderoso bagaglio di razionali e opportunistiche giustificazioni abilmente
utilizzate dagli adulti per autoanestetizzare la propria coscienza.
Anche quel Natale passò e naturalmente Cosimo non tenne conto del
minaccioso invito contenuto nella lettera del rappresentante di classe. Tant'è
vero che, successivamente, gli capitò di leggere su un quotidiano locale un
articolo scritto dai pescatori. Il titolo, lunghetto, suonava così:
"Macchina fotografica accanto alla lenza. Saranno documentate le violenze
sulla natura".
Già di per sé, un'affermazione del genere fa venire in mente quella
frase evangelica per cui è più facile vedere un fuscello nell'occhio degli
altri che la trave nel proprio. Infatti, ai pescatori non sfiorava minimamente
l'idea che strappare brutalmente i pesci dall'acqua possa essere considerata
violenza alla natura: per loro, violenza è quella degli industriali che
scaricano veleni nei fiumi e quella dei maleducati che vi buttano le
immondizie. A Cosimo la contraddizione sembrava troppo grossa e lampante per
non usarla come spunto di discussione con i bambini. Anzi fece di più. Dopo
aver letto l'articolo distribuì loro un questionario con poche domandine a cui
potevano rispondere liberamente. Non tenne il suo solito sermone prima di ciò
proprio per non influenzare le loro risposte. Venne fuori che la maggioranza
dei bambini stava dalla parte dei pesci. Com'è prassi abituale, Cosimo rccolse
le dichiarazioni più significative dei fanciulli e le spedì al giornale insieme
al risultato del questionario. Il giornale, molto democraticamente, pubblicò il
tutto. Le mamme, che devono sempre brontolare su qualcosa, non potendo accusare
apertamente Cosimo di plagio poiché quanto scritto e pubblicato corrispondeva
al pensiero reale dei loro figli, si lamentarono perché in calce ai brani
spediti c'era il nome dell'autore. Non gli garbava che il nome dei loro bambini
fosse comparso accanto a dichiarazioni contro la pesca, cioè contro un'attività
sedicente sportiva, nonché socialmente approvata. Anni prima, con altre
classi, Cosimo aveva fatto la stessa cosa sull'uccellagione e la corrida, con
tanto di nomi e cognomi pubblicati e nessun genitore aveva avuto da ridire.
Ma la situazione di Varmo era diversa. Le fiamme del malumore venivano
alimentate soffiando subdolamente sul bisogno di rivalsa dei genitori, ed era
proprio quella donna impellicciata, insieme a pochi altri, che intendeva in tal
modo vendicarsi. Per lo meno, Cosimo si era fatto tale opinione. A questo
proposito, non gli si potrebbe proprio addebitare la colpa di essere impreciso
perché quando era convocato dai vari direttori che si sono succeduti in quegli
anni gli veniva fatto notare che esisteva sul suo conto un minaccioso dossier
pieno zeppo di manchevolezze e di lamentele genitoriali, ma se lui chiedeva di
poterlo visionare gli veniva negato perché trattavasi di segreto d'ufficio, di
modo che Cosimo veniva a trovarsi nella situazione kafkiana in cui era accusato
di certe intemperanze ma non gli era possibile conoscere il nome degli
accusatori. Come se i funzionari che detenevano il famigerato cahier des doléances
contro di lui temessero che Cosimo volesse vendicarsi dei suoi detrattori. Se
le cose stavano così, non conoscevano abbastanza Cosimo Malnati. Avevano preso
una precauzione per prevenire il suo furore ma ragionando in base ai propri
modelli comportamentali.
Nonostante le prime avvisaglie della nascente opposizione nei suoi
confronti, Cosimo continuava ad andare a scuola fischiettando, né intendeva
permettere ai genitori di fargli perdere il buon umore. Avvicinandosi la mite
stagione, non volle rinunciare alle tradizionali passeggiate primaverili. Le
scuole rurali, rispetto a quelle cittadine, hanno questo grandioso privilegio:
si può uscire a piedi con i bambini senza eccessivi pericoli e andarsene in
giro per i campi. Purtroppo, oltre alle ansie che per un insegnante una
passeggiata normalmente comporta, in quel caso, Cosimo dovette constatare con
dispiacere che alcuni bambini, di quelli che in famiglia avevano percepito il
disprezzo nei suoi confronti, avendo fatto la scelta di parteggiare con i loro
genitori e volendo dimostrarlo all'insegnante, richiamavano la sua attenzione e
sghignazzando affibbiavano una scudisciata con un bastone allo stelo dei fiori
facendone saltar via la corolla. Sapevano così di fare un dispetto a Cosimo,
che li lasciava fare sperando che con il suo disinteresse anche il loro ingenuo
vandalismo perdesse di attrattive.
Elena invece aveva un comportamento ben diverso (non a caso sua madre
era un'artista). Era dotata di molta fantasia, di modi aggraziati ed era perfino
oggetto d'invidia da parte dei compagni, di cui abitualmente evitava la
compagnia. Cosimo aveva un debole per lei. Il giorno della passeggiata,
tornarono a scuola tenendosi per mano e declamando poesie tra gli urletti
striduli degli stanchi compagni e il tripudio discreto della primavera. Ciascuno dei due, a turno, recitava le poesie che conosceva. Elena
improvvisava, il maestro replicava con le sue reminiscenze scolastiche. Nessuno
potrà conoscere l'intima gioia provata da Cosimo in quell'occasione (forse
suggerita dal suo desiderio di paternità) e meno che mai quei genitori che lo
accusavano di essere manesco con i loro figli.
Sempre a Varmo, più o meno nello stesso periodo, ci fu il caso della
visita alla stalla. Le colleghe che insieme a lui insegnavano a due classi
secondo il sistema dei moduli, cioè con la ripartizione delle materie fra i
vari insegnanti, proposero di condurre le scolaresche a visitare prima la
stalla di un contadino del paese e poi la latteria per mostrare ai bimbi i
diversi passaggi nella produzione del formaggio. Cosimo inizialmente si mostrò
restio ad accettare tale proposta perché non trovava edificante la visione di
mucche incatenate, ma alla fine accettò dicendo alle colleghe: "Voi
portate pure i bambini in stalla, ma io faccio la mia lezione
alternativa!".
Cosimo fu di parola e la lezione che tenne s'intitolò "Visita alle
mucche prigioniere", con tanto di immagini fotocopiate dall'enciclopedia
"Conoscere" di negri costretti a lavorare nelle piantagioni, immagini messe a
confronto con quelle dei bovini rinchiusi, frustati e costretti a produrre
latte. La visita alla stalla e al caseificio, poi, non ebbe luogo, non tanto
perché le colleghe di Cosimo ritenessero inopportuno presentare agli alunni
messaggi contrastanti, quello che approvava l'antico sfruttamento e quello del
collega Bastian contrario, quanto perché, volgendo l'anno scolastico al
termine, non ci fu tempo per farla. Almeno, questa, fu la loro versione
ufficiale.
Da anarchico non posso che augurarmi la chiusura della scuola di stato.
RispondiEliminaA mio avviso la caratteristica che contraddistingue il popolo "italiano" è l'ipocrisia, infatti nelle "carte ufficiali" è raccolta una congerie di belle parole puntualmente e pervicacemente disattese con i fatti.
Confermo.
EliminaL'ipocrisia regna sovrana in Italia.
Sarà mica dovuto a contaminazioni clericali?
Il clero ci mette del suo.
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