giovedì 24 luglio 2014

Chi vuole vada, chi non vuole mandi


Appena arrivati all’Al Shame ci siamo sistemati nella camera doppia con scala interna di legno che dà accesso alla stanza superiore. Entrambi i letti, quello inferiore e quello di sopra, sono matrimoniali e dotati di zanzariere, e c’è anche una culla per bambini. Già la mattina dopo, però, abbiamo chiesto al signor Salim se potevamo avere una delle camere al piano terra, con cortiletto per cucinare, come avevamo fatto negli anni scorsi. Il prezzo è la metà, 15.000 ariary a notte (5 euro), ma avendogli riferito le nostre intenzioni di portare un piccolo frigo e un bollitore per il tè, Salim giustamente ha portato il prezzo a 18.000 a causa del consumo extra di elettricità. Senonché, dopo avervi traslocato i suddetti elettrodomestici e aver fatto la spesa per cucinare autonomamente, ho avuto la brutta notizia, confermatami dal mio testimone di nozze Aimone Del Ponte, che la carta di credito Unicredit, connessa al circuito Maestro, non viene accettata in Madagascar. Indi per cui, ho dovuto prendere la decisione di lasciare l’hotel Al Shame, così da risparmiare anche i 18.000 ariary a notte, per trasferirci nella casetta in muratura di Tina, abbassando così il nostro tenore di vita. La cosa mi ha recato non poco turbamento.


Per portare frigo, stufetta e carbone all’albergo, Tina si è servita di un ciclo-poussy, mandando come accompagnatrici su un secondo ciclo-poussy una sua cugina sedicenne di nome Carola e la figlia Annika di 11. Ero in camera quando, nonostante la cattiva ricezione del gestore telefonico Orange, Tina mi ha avvisato di uscire che era arrivato il frigo, ma senza dirmi che legate dietro c’erano anche sue sedie di plastica da giardino. La cugina sedicenne, quando sono uscito a recuperate il frigo, non mi ha detto niente, la bambina mi ha guardato con occhi stralunati e il conducente del mezzo ha fatto il finto tonto e se n’è andato via con le sedie attaccate lì dov’erano. Mi diceva Aimone che gli Antandroy sono tutti ladri e i conducenti di pousse pousse sono tutti di etnia Antandroy. Tina è andata su tutte le furie, imprecando contro di me, contro Carola, contro gli Antandroy e contro il Madagascar, nell’ordine. In questo caso, va applicato il proverbio “Chi vuole vada, chi non vuole mandi”.
Poi, calmatasi dopo 24 ore, mi ha raccontato che un cliente aveva fatto caricare quattro sacchi di riso su uno di quei caratteristici tricicli, seguendo appresso egli stesso, per controllare l’operazione, a bordo di un secondo mezzo. Ma il conducente partito per primo ha preso a correre e si è dileguato in una stradina secondaria con il suo prezioso carico. Per tre giorni, il cliente disperato lo ha cercato invano. Per la verità, anch’io mi aspettavo che dietro il frigo arrivasse Tina, ma lei, come mi ha spiegato in seguito, era impegnata altrove a vendere i vestiti comprati a Tanà. In Madagascar sembra di giocare a quel gioco di carte chiamato “Rubamazzetto”.

Eccoci dunque, il 22 luglio, impegnati con il nostro ennesimo trasloco nella casa in muratura di Ambolanahomby. Tina ha ingaggiato Sandra per rimuovere lo sporco, poiché la casa era rimasta chiusa per tre settimane. In Madagascar, se si riordina una casa rimasta chiusa a lungo, salta fuori ogni specie di animaletto, insetti e rettili. Quando ho sentito Sandra gridare kalalifa (scolopendra) mi sono fiondato per salvarla, la scolopendra, intendo, tenuto conto che le donne delle pulizie normalmente lavorano scalze, ma si trattava solo di un kajajaky, una blatta. Al che, mentre la indirizzavo indenne verso l’uscita, ho fatto sfoggio dei miei rudimenti linguistici dicendo: “Tsy mamono bibi”, non uccidere animali. Di solito, quando uso parole della lingua locale, quelle poche che conosco, gli ascoltatori ridono e anche in quel caso ho ottenuto lo stesso effetto.

Dopo una mattinata di lavoro, la casa è stata rimessa in ordine. Manca un vero e proprio tavolo e al suo posto c’è un coffé table, per dirla, una volta tanto, in inglese. Al posto delle normali sedie abbiamo quelle di plastica da giardino, di fabbricazione cinese come quasi tutta la merce in circolazione, tranne le due che si è tenuto il conducente disonesto di ciclo-pousse. In casa ovviamente non c’è l’acqua e la stanza destinata ad uso cucina è da sistemare, ma in Madagascar le donne fanno tutto all’aperto, quando non piove e i fumi della fatapera, il fornello tradizionale malgascio a carbonella, si disperdono direttamente nell’aria. Il clima clemente permette questo tipo di abitudini.

Quella che in teoria dovrebbe essere la cucina, in realtà è una specie di magazzino e se volessi potrebbe diventare anche doccia, ammesso che il drenaggio dell’acqua funzioni. Siccome nella casetta costruita sullo stesso terreno, a pochi metri di distanza dalla nostra, ci sono degli inquilini, la privacy è piuttosto limitata, sia per quanto riguarda la latrina, sia per la doccia. La prima è in muratura e alla turca, con un mezzo bidone di metallo dentro cui gli inquilini dell’altra casa mettono i foglietti di carta di quaderno usati per la pulizia personale, essendo troppo poveri per comprare la carta igienica. Lo stesso sistema del bidone si ritrova nei gabinetti degli hotely quando ci fermiamo durante i viaggi in taxi-brousse. Quando il bidone è colmo, qualcuno s’incarica di bruciarne il contenuto in un angolo del cortile. In Madagascar c’è sempre un fuoco di rifiuti acceso da qualche parte e questo tipo di afrori, non propriamente salutari, sono una costante dell’atmosfera che si respira nelle periferie delle città e nei villaggi. Io e Tina, per contrastare il forte odore di pipì, abbiamo deciso di comprare un deodorante per ambienti, liquido sennò gli inquilini lo rubano.

La doccia in cortile ha il fondo in cemento con un buco nel mezzo per lo scolo dell’acqua. Le pareti sono di lamiera, compresa la porta semovente. Per lavarmi denti e mani ho due possibilità: o mi faccio versare l’acqua da Tina, in cortile, con una tazza, con l’acqua che viene subito assorbita dal terreno sabbioso, oppure posso recuperare l’otre di plastica da campeggio, munita di rubinetto, che avevo portato ancora negli anni scorsi e che da quella volta non è stata più usata. L’acqua per questi usi la posso tirar su dal pozzo io stesso, come facevo quando ero in affitto nella casa ora occupata dagli affittuari. Tina però preferisce mandare qualcuno con le taniche a prendere quella dell’acquedotto, poco distante, che secondo lei va meglio anche per lavare i panni. Sul letto non c’è la zanzariera, ma trovandoci lontano dal mare, Tina dice che di notte ci sono poche zanzare. E poi ora siamo in inverno. Naturalmente, c’è un solo cuscino. E’ il prezzo che devo pagare per il mancato riconoscimento della carta di credito Unicredit-Maestro da parte delle banche malgasce, ma in fondo non mi dispiace. La vita è una continua serie di sfide e solo gli uomini indomiti le affrontano e, con un po’ di fortuna, le vincono. 

Nessun commento:

Posta un commento