Appena arrivati all’Al Shame ci siamo sistemati nella camera doppia con scala
interna di legno che dà accesso alla stanza superiore. Entrambi i letti, quello
inferiore e quello di sopra, sono matrimoniali e dotati di zanzariere, e c’è
anche una culla per bambini. Già la mattina dopo, però, abbiamo chiesto al
signor Salim se potevamo avere una delle camere al piano terra, con cortiletto
per cucinare, come avevamo fatto negli anni scorsi. Il prezzo è la metà, 15.000
ariary a notte (5 euro), ma avendogli riferito le nostre intenzioni di portare
un piccolo frigo e un bollitore per il tè, Salim giustamente ha portato il
prezzo a 18.000 a causa del consumo extra di elettricità. Senonché, dopo avervi
traslocato i suddetti elettrodomestici e aver fatto la spesa per cucinare
autonomamente, ho avuto la brutta notizia, confermatami dal mio testimone di
nozze Aimone Del Ponte, che la carta di credito Unicredit, connessa al circuito
Maestro, non viene accettata in Madagascar. Indi per cui, ho dovuto prendere la
decisione di lasciare l’hotel Al Shame, così da risparmiare anche i 18.000
ariary a notte, per trasferirci nella casetta in muratura di Tina, abbassando
così il nostro tenore di vita. La cosa mi ha recato non poco turbamento.
Per portare frigo, stufetta e carbone all’albergo, Tina si è servita di un ciclo-poussy, mandando come accompagnatrici su un secondo ciclo-poussy una sua cugina sedicenne di nome Carola e la figlia
Annika di 11. Ero in camera quando, nonostante la cattiva ricezione del gestore
telefonico Orange, Tina mi ha avvisato di uscire che era arrivato il frigo, ma
senza dirmi che legate dietro c’erano anche sue sedie di plastica da giardino.
La cugina sedicenne, quando sono uscito a recuperate il frigo, non mi ha detto
niente, la bambina mi ha guardato con occhi stralunati e il conducente del
mezzo ha fatto il finto tonto e se n’è andato via con le sedie attaccate lì
dov’erano. Mi diceva Aimone che gli Antandroy sono tutti ladri e i conducenti
di pousse pousse sono tutti di
etnia Antandroy. Tina è andata su tutte le furie, imprecando contro di me,
contro Carola, contro gli Antandroy e contro il Madagascar, nell’ordine. In
questo caso, va applicato il proverbio “Chi vuole vada, chi non vuole mandi”.
Poi,
calmatasi dopo 24 ore, mi ha raccontato che un cliente aveva fatto caricare
quattro sacchi di riso su uno di quei caratteristici tricicli, seguendo
appresso egli stesso, per controllare l’operazione, a bordo di un secondo
mezzo. Ma il conducente partito per primo ha preso a correre e si è dileguato
in una stradina secondaria con il suo prezioso carico. Per tre giorni, il
cliente disperato lo ha cercato invano. Per la verità, anch’io mi aspettavo che
dietro il frigo arrivasse Tina, ma lei, come mi ha spiegato in seguito, era
impegnata altrove a vendere i vestiti comprati a Tanà. In Madagascar sembra di
giocare a quel gioco di carte chiamato “Rubamazzetto”.
Eccoci dunque, il 22 luglio, impegnati con il nostro ennesimo trasloco nella
casa in muratura di Ambolanahomby. Tina ha ingaggiato Sandra per rimuovere lo
sporco, poiché la casa era rimasta chiusa per tre settimane. In Madagascar, se
si riordina una casa rimasta chiusa a lungo, salta fuori ogni specie di
animaletto, insetti e rettili. Quando ho sentito Sandra gridare kalalifa (scolopendra) mi sono fiondato per salvarla, la
scolopendra, intendo, tenuto conto che le donne delle pulizie normalmente
lavorano scalze, ma si trattava solo di un kajajaky, una blatta. Al che, mentre la indirizzavo indenne
verso l’uscita, ho fatto sfoggio dei miei rudimenti linguistici dicendo: “Tsy
mamono bibi”, non uccidere animali. Di solito, quando uso parole della lingua
locale, quelle poche che conosco, gli ascoltatori ridono e anche in quel caso
ho ottenuto lo stesso effetto.
Dopo una mattinata di lavoro, la casa è stata rimessa in ordine. Manca un vero
e proprio tavolo e al suo posto c’è un coffé table, per dirla, una volta tanto, in inglese. Al posto
delle normali sedie abbiamo quelle di plastica da giardino, di fabbricazione
cinese come quasi tutta la merce in circolazione, tranne le due che si è tenuto
il conducente disonesto di ciclo-pousse. In casa ovviamente non c’è l’acqua e la stanza destinata ad uso cucina
è da sistemare, ma in Madagascar le donne fanno tutto all’aperto, quando non
piove e i fumi della fatapera, il
fornello tradizionale malgascio a carbonella, si disperdono direttamente
nell’aria. Il clima clemente permette questo tipo di abitudini.
Quella che in teoria dovrebbe essere la cucina, in realtà è una specie di
magazzino e se volessi potrebbe diventare anche doccia, ammesso che il
drenaggio dell’acqua funzioni. Siccome nella casetta costruita sullo stesso
terreno, a pochi metri di distanza dalla nostra, ci sono degli inquilini, la privacy è piuttosto limitata, sia per quanto riguarda la
latrina, sia per la doccia. La prima è in muratura e alla turca, con un mezzo
bidone di metallo dentro cui gli inquilini dell’altra casa mettono i foglietti
di carta di quaderno usati per la pulizia personale, essendo troppo poveri per
comprare la carta igienica. Lo stesso sistema del bidone si ritrova nei
gabinetti degli hotely quando ci
fermiamo durante i viaggi in taxi-brousse. Quando il bidone è colmo, qualcuno s’incarica di bruciarne il
contenuto in un angolo del cortile. In Madagascar c’è sempre un fuoco di
rifiuti acceso da qualche parte e questo tipo di afrori, non propriamente
salutari, sono una costante dell’atmosfera che si respira nelle periferie delle
città e nei villaggi. Io e Tina, per contrastare il forte odore di pipì,
abbiamo deciso di comprare un deodorante per ambienti, liquido sennò gli
inquilini lo rubano.
La doccia in cortile ha il fondo in cemento con un buco nel mezzo per lo scolo
dell’acqua. Le pareti sono di lamiera, compresa la porta semovente. Per lavarmi
denti e mani ho due possibilità: o mi faccio versare l’acqua da Tina, in
cortile, con una tazza, con l’acqua che viene subito assorbita dal terreno
sabbioso, oppure posso recuperare l’otre di plastica da campeggio, munita di
rubinetto, che avevo portato ancora negli anni scorsi e che da quella volta non
è stata più usata. L’acqua per questi usi la posso tirar su dal pozzo io
stesso, come facevo quando ero in affitto nella casa ora occupata dagli
affittuari. Tina però preferisce mandare qualcuno con le taniche a prendere
quella dell’acquedotto, poco distante, che secondo lei va meglio anche per
lavare i panni. Sul letto non c’è la zanzariera, ma trovandoci lontano dal
mare, Tina dice che di notte ci sono poche zanzare. E poi ora siamo in inverno.
Naturalmente, c’è un solo cuscino. E’ il prezzo che devo pagare per il mancato
riconoscimento della carta di credito Unicredit-Maestro da parte delle banche
malgasce, ma in fondo non mi dispiace. La vita è una continua serie di sfide e
solo gli uomini indomiti le affrontano e, con un po’ di fortuna, le
vincono.
Nessun commento:
Posta un commento