giovedì 17 luglio 2014

Funzionale fatalismo di marinai istintivi


Testo e foto di Francesco Spizzirri

Io e Pascaline, qui in foto, stavamo andando lentamente verso sud. Lei era cresciuta a Tamatave e non aveva visto nient'altro che la sua città. Nel viaggio precedente eravamo andati verso nord sulla costa orientale perché la sua famiglia è originaria di St. Marie, territorio che ha un aspetto particolare in Madagascar, ma anche questa è un'altra storia. L'avevo portata a vedere la brousse di St. Josè, dove abitavano ancora i nonni, e da lì eravamo poi partiti verso nord. St. Josè è un gruppo di case sparso nel centro dell'isola di St. Marie. Adesso, dopo aver attraversato l'altipiano, eravamo arrivati a Morondava, la mia città preferita. Staccarmi da Morondava e dalla spiaggia di Betanìa è stato sempre difficile, comunque, dopo una ventina di giorni di vita felice, e non è un modo di dire (nel frattempo era arrivato anche Marcello), decisi di partire verso Tulear.   Erano i primi di dicembre,  già di notte si vedevano i lampi sull'altopiano e il mare era diventato marrone, segno che arrivava tanta terra, causata dalla pioggia all'interno, portata dal fiume che sfocia con un grande estuario a sud di Morondava.  Ed anche l'estuario che divide Morondava da Betanià diventava sempre più largo. Era arrivata, in anticipo, la stagione delle piogge. 

 
Per andare da Morondava a Tulear ci sono due strade: o ritornare indietro verso la capitale e ad Ambositra prendere un taxi-brousse verso sud, e all’epoca molti pezzi di strada erano piste, oppure costeggiare il Canale di Mozambico sulle strade sterrate. Durante la stagione delle piogge però le piste diventano letteralmente dei fiumi, per cui i trasporti con i taxi-brousse venivano sospesi e partivano soltanto i camion-brousse, che portano merci e persone insieme, e sono viaggi massacranti. Comunque, dopo facemmo la pista da Morombè a Tulear, proprio con un camion-brousse che portava riso e pesce secco.

Decisi quindi di scendere con un Botry, qui a sinistra. Mi ero gia spostato con un Botry ma avevo fatto solo piccoli viaggi, di una giornata,  e avevo portato Pascaline a Belo sur Mer, che allora era bellissima,  e da lì sull'isola coperta dai coralli bianchi, dove si accampavano i pescatori di oloturie. Belo sur Mer e l'isola dei coralli bianchi sarà un'altra storia. I Botry (pronuncia Buci) sono vascelli malgasci a due o tre alberi molto invelati, a chiglia piatta senza deriva o bulbo, che trasportano sopratutto  sale, oppure riso e si muovono lungo la costa del canale di Mozambico da Majunga a Tulear. Questo è dovuto al fatto che le strade buone, in Madagascar, sono a ragno, con centro nella capitale, per cui lungo la costa ci sono solo piste e a volte neanche quelle. In più, un camion ha un costo molto alto, ha una manutenzione costosa e consuma gasolio.

Il Botry costa relativamente poco, si ripara con un po' di legno, stoppa e pece, e il vento non si paga. Essendo il sale un prodotto dall'alto peso e dal valore basso, ecco la preferenza per il Botry. I Botry hanno poi la chiglia piatta perché così arrivano con l'alta marea vicino alle spiagge e quando il mare si ritira, con la bassa marea, si appoggiano sulla sabbia e possono arrivare i carri con gli zebù per il carico e lo scarico.
E a Belo sul Mer ci sono i "cantieri" dove costruiscono i Botry.

Dunque si parte. All'alba con la piroga partiamo dal padiglione di legno dell'hotel Tre Cicogne e saliamo sul Botry. Adesso il padiglione di legno che sporgeva sul canale per il porto non c'è più, l'hanno abbattuto per costruire camere in muratura, un altro pezzo del vecchio Madagascar che se n’è andato.

Dal canale si entra nell'estuario e qui vedo una cosa che non avrei mai immaginato. Per uscire dal fiume senza vento  e arrivare in mare, una piroga va qualche decina di metri più avanti del Botry e lancia l'ancora, al che i marinai sul veliero cominciano a tirare la grossa cima legata all'ancora, e lentamente, lanciando l'ancora più volte, perché la strada per arrivare al mare è lunga, spostano il grosso Botry, tutto solo con la forza delle braccia. Alla fine si issano le vele e si comincia a bolinare verso sud.

Io e Pascaline, qui in piedi sulla cabina, siamo gli unici passeggeri paganti, mentre gli altri malgasci, essendo Vezo, viaggiano gratis. Allora: in Madagascar esistono, e prima esistevano molto di più le differenze,  tra ciò che è malgascio e ciò che è vazaha.  E di questo bisognerà riparlarne. Tra queste c'è il prix malgache e il prix vazaha, com’è naturale che sia, in più però il malgascio che accompagna il vazaha,  solo perché è in compagnia del vazaha deve pagare come il vazaha, e il vazaha naturalmente paga per tutti e due. Per chi avesse dei dubbi, il prix vazaha è molto più alto del prix malgache.

I Vezo sono il popolo della costa sud ovest del Madagascar, sono tutti marinai e pescatori, vivono sul mare e del mare. La loro storia dice che molti anni fa un pescatore trovò o pescò una bellissima sirena e la portò a casa sua, da loro nacquero molti bambini, ma la sirena un giorno sentì il richiamo del mare e ritornò nel mare. I figli allora partirono alla ricerca della loro mamma e così, anche oggi, i Vezo sono sempre in mare alla ricerca della loro madre.

S’incomincia a navigare. Come viaggiatori paganti abbiamo diritto al posto a poppa e all'unica cabina per dormire, intanto a poppa si cominciano a preparare le lenze a traina per quelli che saranno i nostri pasti nei prossimi giorni,  perché non è previsto alcun approdo: prossima tappa Morombé. Il vento viene da sud, quindi si viaggia di bolina con bordi lunghi e piatti.

Vita a bordo. Le esche per i nostri pasti, tonni bianchi, sono fatte con dei grossi ami a cui sono legate delle strisce di stagnola ricavate dai pacchetti dei biscotti. Tutti i viaggiatori si coprono con dei tessuti perché il sole dell'estate del Canale di Monzambico spacca la testa, io e Pascaline cerchiamo di stare nella poca ombra delle vele, un altro dei privilegi concessici. 

I nostri pasti intanto non abboccano, si mangia quello che c'è, un po' di riso e del the chiaro caldo. La cucina sul ponte è spenta. Intanto che aspettiamo i pasti che non abboccano descrivo la toilette del Botry. Una grossa corda a cui è legato un copertone appeso fuori dalla poppa, incastrato nel timone a livello dell'acqua. Per usarla bisogna calarsi fuori dalla barca e poi con i piedi dentro al copertone accucciarsi al livello del mare.

Ora, a parte il fatto che bisogna essere delle scimmie per riuscire ad usare la toilette, c'è anche il fatto che si può cadere in acqua e un Botry non ha sicuramente la maneggevolezza di recuperare qualcuno in mare, in più i salvagente, sempre copertoni di auto, non mi sembrano il massimo della sicurezza. Anche Pascaline, malgascia abituata a tutto in Madagascar, non se la sente di rischiare. A bordo non c'è nessuno strumento, solo io ho l'orologio. Si naviga in mare aperto, l'ultima costa che ho visto era Morondava.

Intanto si avvicina la sera, si cena prima dell'arrivo del buio perché a bordo non si usano candele, naturalmente un po' di riso e the chiaro caldo. Tutti si preparano per la notte, praticamente non si muovono dal loro posto, tutto il ponte è coperto da persone, la toilette viene usata regolarmente, io guardo e sembra facile ma non mi arrischio.

Il sole cala rosso all'orizzonte, per due ore sono immerso nella luce del tramonto e un’enorme nuvola circolare sembra un’astronave sulla nostra testa. Ormai è buio. Sulla barca non c'è nessuna luce, a poppa rimangono dei malgasci per il timone, io e Pascaline andiamo a dormire nella nostra cabina, non c'è niente che possa assomigliare ad un letto ma penso che sia sempre più morbido del legno del ponte. Naturalmente è difficile per una persona che ama vivere la notte come me, riuscire a dormire. Non mi sento a mio agio, qualcosa mi disturba, il buio è completo e solo dalla finestrella di fronte a me vedo un po' di cielo appena più chiaro del nero.

Intanto  una piccola  ombra  per un attimo si muove sul bordo della finestra, già non tranquillo prendo nella borsa la torcia l'accendo e vedo le pareti e il soffitto, molto basso,  con decine dei mitici calalò, i grossi scarafaggi marroni del Madagascar e questi erano quelli del sud, con le ali, che volano. Al che sveglio Pascaline e nonostante sia malgascia e da bambina prendesse i calalò con le mani per darli alle galline anche lei esce dalla cabina. Quella notte e la seguente io ho dormito sulle corde e lei sulla tolda della cabina.

Due dei malgasci al timone approfittano subito dell'occasione e vanno a dormire nella cabina. Di notte alcuni marinai del Botro non dormono e si muovono da poppa a prua e viceversa per controllare le vele, il ponte è coperto di persone sdraiate e loro camminano sul parapetto della barca non più largo di dieci centimetri, non riesco a capire se comprendono il pericolo di cadere in mare al buio o, come sempre in Madagascar, c'è una soluzione anche per questo.

L'alba è rossa, e si capisce che la terra è sicuramente molto lontana, si fa colazione con riso e the chiaro caldo, lo stesso per il pranzo, i pasti non abboccano, il sole picchia forte e la giornata è lunga, passiamo di fianco a due isole abitate, penso che ci si potrebbe fermare a comprare qualcosa, almeno dei polli ma non dico niente, bisognerebbe fermarsi al largo, calare la piroga, e dobbiamo arrivare a Morombè domani sera. Niente tonni bianchi nel ricchissimo mare del Mozambico, ricchissimo prima; da anni grandi pescherecci  orientali trascinano grosse reti su e giù per il canale, congelano il pesce e lo portano alla nave madre al porto di Tamatave che parte verso casa. Un impoverimento del mare che porta miseria ai piccoli pescatori della costa africana e malgascia che vivono di un’economia di sussistenza.

Il terzo giorno si va avanti con poco riso e the, Morombè non è lontana. I malgasci possono anche non mangiare, sono abituati a mangiare poco o addirittura non mangiare. Durante la  discesa dello Tsiribihina, la prima volta che sono andato in Madagascar, ero rimasto impressionato dal fatto che il nostro pagaiatore, Nirina, vivesse per quattro giorni con un piattino di riso al giorno. Poi ci ho fatto l'abitudine. Alle prime ore del pomeriggio però la situazione cambia. Il vento comincia a diventare teso, cominciano a formarsi le ochette e le onde si alzano. In lontananza, verso il Mozambico, il cielo è scuro.

I marinai cominciano a muoversi, diminuiscono la velatura, uno sale sull'albero e guarda verso terra. Durante gli altri giorni avevo già visto fare questo, probabilmente dall'alto si scorgeva la terra e stabilivano la posizione del Botry da punti di riferimento sulla costa malgascia. Io avevo fiducia nelle capacità dei Vezo, ma so che il popolo malgascio è fatalista e affrontano qualsiasi problema nel momento in cui si pone senza pensarci né prima né dopo, e se le cose vanno male le si accetta senza recriminazioni.

All’epoca io non seguivo ancora il sito internet Firinga, che segue i cicloni sull'Oceano Indiano, non mi ricordo che ci fosse qualsiasi informazione circa le previsioni meteorologiche e non so neanche se ci fosse un cyber-cafè  a Morondava. Qualche anno prima a  Mananara era arrivato un ciclone e di tutti i pescatori, più di cento, che erano in mare ne erano tornati solo due. Tra l'altro l'Oceano Indiano sulla costa est, a partire da dicembre, diventa pericoloso per gli improvvisi cambiamenti del tempo, per cui si interrompono i trasporti  con i piccoli battelli a motore. Sulla costa est infatti non si usano i Botro, che viaggiano solo nel canale di Mozambico, più calmo è più stabile. In genere tutte le merci, sulla costa est,  viaggiano verso nord via mare,  perché da  Soanierana Ivongo fino a Marantsotra c'è solo la pista e da Marantsotra ad Antalaha non c'è nemmeno quella. Verso sud, a partire da Tamatave, c'e il Pangalanes, un canale d'acqua dolce, parallelo alla costa, costruito dai francesi sfruttando i corsi d'acqua locali.

Io  non ero tranquillo. Il Botry era carico di riso all'inverosimile, i malgasci caricano tutto all'inverosimile, taxi-brousse, camion, piroghe, battelli, ogni mezzo di trasporto. Un poliziotto della Mayotte francese, conosciuto a Morondava, mi aveva raccontato che una volta era arrivata un’imbarcazione di emigranti malgasci con le capre, la norma, più uno zebù. Io dicevo sempre: “Sul taxi-brousse ti caricano anche una balena, basta che gli dai abbastanza corda”. Adesso purtroppo in Madagascar sono arrivati anche i pullman.

Comunque - io pensavo - il Botry è carico, la chiglia è piatta, quindi non regge le onde, radio neanche a parlarne, solo una piroga, ma eravamo 30 o più persone, la barca forse, forse, era robusta, ma se fosse successo qualcosa non avremmo avuto scampo.
A vele ridotte e non più a bolina stretta, forse al traverso, il Botry si dirigeva verso terra con il cielo nero e la pioggia che ci seguivano in lontananza. Tutti, compresa Pascaline,  erano tranquilli come se non stesse succedendo niente, solo io, seduto sulle mie corde, pensavo a tutti i modi per salvarmi una volta che la barca si fosse spezzata. I malgasci sono sempre così. Di fronte a qualsiasi cosa, il taxi-brousse con l'impianto elettrico bruciato sull'altipiano al freddo di notte, il crollo del ponte, il villaggio completamente bruciato, la casa distrutta dal ciclone, il camion-brousse impantanato nella melma,  la malattia, la morte, sono sempre tranquilli, accettano tutto, come se non fosse successo a loro e aspettano, aspettano, aspettano sempre.

Alla fine arriviamo in una rada con il temporale e la pioggia che nel frattempo ci avevano raggiunti. Sulla spiaggia vedo delle capanne per cui dico a Pascaline di scendere e comprare dei polli, almeno quattro, uno per noi e tre per gli altri. Calano la piroga, Pascaline parte ed io aspetto sulle mie corde. Io ormai sulle corde ci vivevo. Dopo un po' sento la piroga che ritorna e vado a vedere. C'è Pascaline, c'è il marinaio ma niente polli. Pascaline mi spiega che i polli ci sono ma li vendono a 50 000 franchi, perché siamo sotto Natale e li devono portare al mercato in città, allora siccome erano troppo cari non li ha comprati.
Bisogna spiegare che i polli, ed anche le uova, costavano cari, più della carne, adesso c'è anche il pullet-vazaha e le uova costano pochissimo per via degli allevamenti, anche industriali, purtroppo. Allora un pollo costava 20/25.000 franchi (oggi 1 euro e qualcosa)  per cui 50.000 franchi erano una fortuna, e Pascaline, quando l'ho conosciuta lavorava da Dedè, il mio "camiciaio" (i cinesi hanno distrutto anche lui) e guadagnava 200.000 franchi al mese.

Più avanti racconterò anche di quando, con Berthe, la mia prima ragazza,  ho dovuto viaggiare  per un mese e mezzo con 20 kg di cipolle per risparmiare 1000 lire.
Stanco di combattere con i malgasci sono partito alla volta del villaggio, ho comprato i polli, ne ho mandati tre al Botro e sono rimasto al villaggio a farmi cuocere sul fuoco il mio e a gironzolare. Tra l'altro in una capanna - le capanne erano praticamente delle tende canadesi fatte di palma - c'era anche un’epicerì, che in Madagascar non manca mai. Lì ho bevuto, era l'unica cosa da bere, il caffé più buono della mia vita. In una tazza di metallo: era caldo, pieno, rotondo, dolce, denso, ti riempiva.

Dopo un po' Dio (io non sono credente) è apparso tra le nuvole scure, il cielo si è aperto e un arcobaleno enorme e vicino si è aperto alle nostre spalle, nella brousse. Il sole stava scendendo dietro il promontorio ed era ora di ripartire verso Morombè, che non era molto lontana.
All'arrivo della notte sono entrato nella fiaba. Il Botry viaggiava sopra una nuvola di luce verde. Nel canale di Mozambico il plancton che si accende al movimento dell'acqua, è più denso e più luminoso che nel Mediterraneo, per cui la chiglia  era completamente illuminata e la nuvola di luce si espandeva molto al di fuori della forma della barca. Eravamo vicini alla costa e parallelamente a noi, sulla pista, viaggiava un camion-brousse che proiettava dei fasci di luce nella notte. Sul fondo, nel buio, si vedevano i fulmini  del temporale che ci aveva sorpassato. L'aria delle prime ore della notte era calda e soffocante, eravamo arrivati nel Grande Sud. All'improvviso, come svoltato un angolo, dalla vegetazione sono apparse le luci gialle dei lampioni di Morombe addormentata. All'arrivo nella baia un marinaio soffiando dentro una grossa conchiglia forata ha segnalato l'arrivo del Botry a Morombe, anch'io ho provato a soffiare ma naturalmente non è uscito alcun suono.

Calata la piroga pian pianino, mora mora, tutti i viaggiatori sono partiti verso la spiaggia. L'acqua, illuminata dalle deboli luci della città, era verde e torbida. Qualcosa mi diceva di non toccarla e il giorno dopo avrei capito il perché.
La mia bellissima e terribile Nathalia scalpitava per scendere sulla terra. Io non lo avrei mai immaginato, ma Pascaline aveva già pianificato tutto.
Tutti chiederanno, ma voi due, io e Pascaline, come avete fatto con la toilette per tre giorni? Semplice. Alla sera, col buio, ci sedevamo uno per volta sul bordo del Botry sporgendoci il minimo indispensabile, e mentre uno stava seduto l'altro lo abbracciava per impedirgli di cadere in acqua.

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Concordo.
      Noi vegani l'avremmo più dura, ma organizzandoci un po' si potrebbe anche fare. Basta portarsi provviste abbondanti.

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