Quando
la suora si presentò a sua madre, Pota aveva quattro anni. Era nata su un
marciapiede e aveva conosciuto il sapone poche volte nella sua vita. La
incontrai nel cortiletto di casa dello zio di Tina, monsieur Jean Charles, un
devoto cattolico di Antananarivo che prende sul serio i precetti evangelici e
lascia che una famiglia di barboni stazioni, dorma e cucini nel suo cortile. La
madre della bambina preferisce le scalinate, e rimane all’esterno, dove può
chiedere l’elemosina ai passanti, ma la piccola Pota, all’epoca in cui la
incontrai, giocava sempre con Jacqui, di poco più grande di lei. Li vediamo qui
insieme in foto.
Un giorno si presentò la suora e offrì alla barbona
l’opportunità di far crescere Pota in un orfanotrofio, con pasti regolari, con
lezioni scolastiche e tanti altri bambini con cui giocare. La donna acconsentì,
così, senza nulla di scritto. Ma poi, immancabili, vennero i rimorsi: il cuore
di mamma è fatto così. La donna voleva la bambina indietro ma ormai era troppo
tardi. Esito scontato. Le autorità religiose furono irremovibili. Sul piano
pratico, per la piccola Pota è sicuramente un vantaggio. Sua madre sprofonderà
sempre più nella convinzione di essere spazzatura umana, immergendosi ogni
volta possibile nell’oblio alcolico, e la Chiesa cattolica avrà un fedele in
più, tirato su da piccolo, che magari, giovinetta, deciderà d’intraprendere la
carriera ecclesiastica, per quel tanto di carriera che alle donne viene
concessa. Gli altri barboni della
scalinata continuano ad arrangiarsi come possono, dormendo sui cartoni,
accoppiandosi dietro ripari di fortuna, espletando i bisogni fisiologici dove
capita e mettendo ad asciugare i panni sugli scalini stessi, perché bisogna
sfatare il pregiudizio secondo cui i barboni sono sporchi. In realtà, grazie
all’acqua corrente del cortile di Jean Charles, i loro vestiti sono
pulitissimi. In un contesto agreste, li avrebbero messi ad asciugare sui
cespugli. In città vanno bene anche le scalinate.
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