Fu
il primo a dare inizio alle danze, la sera precedente al mio matrimonio.
Eravamo nel quartiere di Analatsimavo, dove vive la famiglia di Tina e la
musica andava a tutto volume, come sempre in Madagascar. Avevo già svolto il
mio dovere di pretendente alla mano di Tina, portando due bottiglie di rhum al
padre. E meno male che non ho dovuto portare in dote animali vivi! Le bibite e
gli snack per bimbi e signore già circolavano e Justin, conosciuto anche con il
suo nome malgascio di Bohaboha, cominciò per primo a danzare, per quel tanto
che l’artrite gli permetteva. Poi cominciarono le donne, come si vede nella
foto successiva. Justin è morto il 5 luglio scorso, quando sono partito
dall’Italia, ed è stata la dissenteria a ucciderlo. Aveva 80 anni, età
ragguardevole se si pensa che l’età media in queste contrade si assesta sui
sessant’anni. Mio padre, per fare un paragone, è morto a 82 anni in un letto
d’ospedale, da solo, per arresto cardiaco.
Spesso
però i telegiornali malgasci riportano casi di morti violente. E’ il caso di un
fotografo di nome Fenoasy che, venuto a disputa per l’ennesima volta con il
vicino di nome Masindambo, per questioni di terreni confinanti, perse il lume della ragione,
afferrò la punta di ferro di un lefo, una lancia tradizionale del sud del Madagascar, e la conficcò nella
tempia dell’interlocutore, che morì sul colpo. Non contento, sull’onda della
furia omicida, gliela conficcò anche nel cuore. Dopo di che, invece di darsi
alla fuga come sarebbe stato naturale, sconvolto per ciò che aveva fatto, andò
a costituirsi alla polizia e gli anni di prigione, che nessuno gli potrà
togliere, saranno tanti.
Tutto
ciò accedeva un paio di settimane fa a Tulear, ma c’è un seguito piuttosto
strano. La vittima aveva un nipote di nome Reaviky, di professione commerciante
di bestiame. Quando costui seppe della tragica morte dello zio, convocò la
famiglia dicendo che avrebbero dovuto recarsi al commissariato per manifestare
il loro odio verso l’assassino. Così si usa fare in Madagascar, dove
evidentemente il sentimento della famiglia è molto vivo. Si tratta sempre di
famiglie molto allargate, che agiscono insieme quando c’è da far valere dei
diritti o per altre forme di rimostranza verso terzi.
Reaviky
non riuscì a portare a termine il suo compito di capofamiglia e fu colpito da
quello che secondo le descrizioni fattemi da Tina fu un ictus. Improvvisamente,
all’età di 36 anni, perse la vista, non riuscì più a parlare e gli unici suoni
che uscivano dalla sua bocca, mentre era ricoverato in ospedale, erano una
specie di muggito di zebù, alquanto sgradevole ad udirsi per orecchi
superstiziosi. D’altra parte, di professione commerciava proprio zebù. Morì
dopo due giorni. Tina e altre 50 persone, lo scorso 28 luglio, sono rimaste
quattro ore sedute fuori dalla capanna, per poi dirigersi a piedi, dietro il carretto
su cui era stata posta la bara, verso il porto di Tulear, dove il feretro è
stato caricato su un Bac, un traghetto, diretto a Itampolo. Anche il padre
adottivo di Tina ha accompagnato il giovane parente nel suo ultimo viaggio.
A
me non è stato possibile fotografare il cadavere, anche se non avrebbero avuto
nulla in contrario se fotografavo la bara mentre usciva dalla capanna. Il
cadavere rimarrà due mesi in una stanza della capanna avita, nel villaggio dei
genitori, e se qualcuno nelle vicinanze dovesse pronunciare la parola maimbo, puzza, i familiari offesi potrebbero chiedere uno o
più zebù come risarcimento per la mancanza di riguardo. Si chiama fady, tabù, e in Madagascar ce ne sono tantissimi e
diversissimi. Anche scatarrare vicino a una casa in cui c’è un cadavere è fady, ma nel mio caso non corro nessun rischio perché non
scatarro mai. Non è mia abitudine. Un altro particolare interessante è che se
il morto è anziano, diciamo sopra i 40 anni, il corteo funebre è allegro, con
canti e balli dei partecipanti diretti verso il cimitero. Se è un giovane come
nel caso in oggetto, ci si limita a cantare i canti di chiesa. Se è un bambino,
si rimane in silenzio. Per lo meno, i tanalana fanno così, poi magari le altre
etnie avranno usi differenti.
Ancora
non ho assistito a un vero e proprio funerale, anche perché non vorrei
incorrere nell’infrazione di qualche tabù, ma siccome la morte da queste parti è
sempre presente, sperando non si tratti della mia, ho il sospetto che mi si
offrirà qualche altra occasione.
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