Un film di Renato Pozzetto di qualche anno fa, con Eleonora Giorni, s’intitola:
“Mia moglie è una strega”. E’ la storia di un tranquillo borghese che scopre di
aver sposato una donna che non era quello che appariva, ma qualcosa d’altro,
una strega, appunto. Quella che ho sposato io in seconde nozze è una popolana
malgascia che da un anno a questa parte si è messa in testa di diventare tromba (pronuncia ciumba), che è il corrispettivo femminile
di ombiasy. Tina ha grandi
potenzialità: potrebbe fare la sarta, la cuoca, la donna delle pulizie e
perfino l’interprete e la guida turistica, ma che mi diventi una strega proprio
non mi va giù. Comunque, mi ha spiegato che non è facile diventare tromba. Ci vogliono molti soldi e aver compiuto almeno
quarant’anni, forse anche cinquanta. Ora lei ne ha solo 31. Poi, quando ci si
sente pronti, si convoca il capo di tutti gli ombiasy, il quale ordina immancabilmente che venga ucciso uno
zebù e se l’aspirante tromba
riesce nel sanguinoso intento, diventa una professionista. In pratica, è una
specie di esame superato il quale si entra a far parte dell’ordine degli
stregoni malgasci. Madame Fanja, che ci diede il bungalow in affitto ad Ankilibe,
lo era diventata, ma lei era panarivo, ricca, avendo all’epoca come compagno monsieur Bernard, pilota di
linea francese in pensione.
Insomma, è successo che diversi ombiasy, a cui Tina si era rivolta, le hanno detto che ha tutte le carte in
regola per diventare tromba. Sarà
stata la suggestione, ma a forza di sentirselo ripetere molte volte, alla fine
ci ha creduto. E allora, da un anno a questa parte (io sono sempre l’ultimo a
sapere le cose) ogni volta che a pranzo apre una bottiglia di Coca Cola o di
Fanta, ne versa un sorso a terra, sia che ci si trovi all’aperto, che in casa,
in offerta a Zanahary l’assetato. Poi ha predisposto in un angolo della casa
una specie di portafiori a colonna, di fabbricazione cinese, mettendovi sopra
un piatto da cucina con dentro una moneta. Lì davanti si raccoglie in
preghiera, in piedi, tutte le volte che le viene l’ispirazione e chiede a
Zanahary il Potere, non il potere di far del male alle persone, ma la forza
personale, qualcosa di simile a ciò a cui aspirano tutti coloro che fanno
meditazione o corsi di PNL e roba del genere.
Il
27 luglio l’ho accompagnata con il ciclo-poussy sulla riva del mare, perché doveva disfarsi di un
misterioso oggetto che aveva messo in un sacchettino. Ho dovuto insistere perché
mi spiegasse cosa stava facendo. Alla fine mi ha detto che si tratta di due
scatoline il cui contenuto le è sconosciuto, che le erano state date da un ombiasy, allo scopo di tenere lontano il gri gri, cioè il
malocchio. Andavano messe nel secchio dell’acqua con cui di mattina si fa la
doccia, cosa che ha fatto regolarmente da un anno a questa parte, cioè da
quando ha cominciato a provare interesse per le stregonesche superstizioni del
suo popolo.
Ora stava andando a gettare l’involto nel mare perché si era accorta che non
aveva avuto l’effetto desiderato, ammettendo che i 15.000 ariary (5 euro) dati
all’ombiasy sono stati soldi
sprecati. A me questa storia ricorda Vanna Marchi e le sue bustine di sale.
Tutto il mondo è paese e i ciarlatani continueranno a fare affari d’oro a ogni
latitudine, con la differenza che in Madagascar sono riveriti, mentre da noi
disprezzati.
Ho
fatto fatica a convincere Tina a lasciarmi fotografare il contenuto del
sacchettino e gliel’ho lasciato gettare sulla battigia (in quel momento c’era
la bassa marea) perché non voglio interferire con le tradizioni degli indigeni,
comprese quelle a cui Tina ci tiene, a meno che non si tratti di sacrifici
animali. E poi anche perché sacchetto più sacchetto meno, di tanta immondizia che
c’è in giro, non fa differenza. Da questo punto di vista, mi sto malgascizzando
un po’ anch’io.
Nessun commento:
Posta un commento