Testo
di Francesco Spizzirri
Mahanoro
è una cittadina tranquilla e silenziosa sulla costa est del Madagascar.
Cittadina povera, si vede dai prodotti al mercato, ma non misera. Le attività
principali sono le coltivazioni di pepe nero buonissimo, ananas, e rafia che,
tanto per cambiare, va tutta in Cina. Gli ananas, che in Madagascar si
chiamano mananas, sono venduti a prezzi ridicoli. Nel 2005 le piccole costavano
1000 fmg, un 14esimo di euro e le grandi, o meglio le giganti 1500 fmg, poco
più di un 10mo di euro. Sono quelle che trovi a Tamatave. Solo le piccole a
10,15, 20 mila fmg e naturalmente sono buonissime. Essendoci tanta terra a
disposizione e tanto legname le case sono grandi con ampi cortili di sabbia,
belle anche se senza pretese, tanto da darti l'idea di una vita se non ricca
almeno tranquilla.
I viali ampi ed alberati sono tutti di sabbia e hai
l'impressione passeggiando nel silenzio, nell'ordine, di tornare indietro nel
tempo, quasi nella Louisiana del passato, non c'è nessuno per strada e vedi
solo pochi bambini che ogni tanto vengono a parlare, con timidezza con il
vazaha. Essendo il mare di Mahanoro ricco di squali, al mercato trovi quasi
esclusivamente squali e razze fatte a fette. E' la brousse forse l'unico posto
dove ritrovare l'antico e indimenticato Madagascar. Mahanoro è un po' la
cittadina al confine dell'impero, La strada asfaltata della costa finisce qui,
dopo ci sono solo le piste e i bateaux per arrivare a Mananjarj dove riprende
la strada asfaltata per Manakara. Per cui poche persone vengono a Mahanoro, non
essendo una cittadina di transito viene solo chi deve venire a Mahanoro.
E poi
per proseguire devi prendere il bac che attraversa il grande estuario del fiume
Mangoro, due Km che non finiscono mai e sopratutto dove capisci che se succede
qualcosa e finisci in acqua sei finito, anche perché come al solito i malgasci
caricano il bac, già instabile e di incerta costruzione con un motorino
ridicolo, fino all'inverosimile. A questo aggiungi che sul fiume vanno a caccia
di coccodrilli, anche di 4 metri con il Kalasnikov. Una cittadina che ti
rimane nel cuore, come Morondava, anche perché qui ho conosciuto un francese,
professore universitario, che vi abitava per lunghi periodi e girava con il suo
compagno, uno studente universitario Merina di Tana, tutto con una naturalezza
che forse non abbiamo ancora neanche in Europa, ed erano accettati senza nessun
problema.
E
qui ho conosciuto Marceline (in foto), uno dei ricordi più struggenti del Madagascar. E
il Madagascar ne lascia tanti.
Mi
ha colpito subito il suo viso quando l'ho vista passare per la prima volta
lungo la strada principale, mi sono fermato a guardarla e lei mi ha sorriso e
ha proseguito senza fermarsi. Dai vestiti si capiva che era molto povera e mi
era rimasta la voglia di fotografarla per non perdere quegli occhi. Dopo alcuni
giorni, mentre ero fermo sul muretto di fronte al mio alberghetto con alcune
persone, si era sparsa la voce che c'era un vazaha che faceva le fotografie
alle persone, l'ho vista ripassare e ho chiesto agli altri chi fosse. Allora,
mi dissero che si chiamava Marceline, aveva dei figli, abitava verso la foce
del Panganales nella zona più povera, per vivere comprava dei pesciolini sulla
spiaggia dai pescatori e poi li rivendeva in giro per il paese sicuramente
guadagnando pochissimo e sopratutto si vendeva ai pochi vazaha che arrivavano a
Mahanoro, rubando poi tutto quello che poteva al cliente. Era conosciuta come
una ladra dei vazaha e quindi non perseguibile dalla polizia. Essendo la
strada per andare a casa sua sulla strada di fronte al mio alberghetto, dopo
qualche giorno l'ho trovata e le ho fatto le fotografie. Qui ho anche scoperto
che era incinta di pochi mesi.
Dopo
le fotografie, ho pensato poco a Marceline, impegnato a girare per la brousse
intorno a Mahanoro. Finché una sera, seduto sul muretto, l'ho vista passare.
Era la sera del Madagascar, con il cielo ancora chiaro del sole appena
scomparso dietro le montagne e le vie che diventavano buie. Marceline si è
seduta accanto a me facendomi capire che avrebbe passato la notte con me con la
sicurezza che avrei accettato. Non essendo un collezionista di donne non ho
accettato, anche perché avevo la mia compagna con la bambina che mi aspettava a
Tamatave. Allora Marceline ha sorriso si è alzata e se ne è andata prendendo la
strada verso casa. E mentre camminava nell'ampia strada che diventava sempre
più buia continuava a voltarsi e a sorridere. Ecco questo è il mio ricordo di
Marceline. Il suo sorriso che si perdeva nel primo buio della sera e alla fine
scompariva. Mi è sempre rimasto nel cuore questo ricordo, perché avrei voluto
stare con lei, vedere i suoi figli, aiutarla nella sua vita difficile, ma sai,
quando viaggi in Madagascar, che l'aiuto che puoi dare, per quanto grande per
le tue possibilità, è sempre un granello di sabbia su una spiaggia. E allora
accetti di portarti la sofferenza del non aiutare perché sei impotente di
fronte alla grande massa di bisogno che c'è in Madagascar. Ti accontenti di
dare qualche soldo forse per ripulirti la coscienza e volti la faccia
dall'altra parte.
Lo stesso mi è successo con il venditore di carbone di
Fianarantsoa, probabilmente ammalato di Parkinson o con la vecchia quasi cieca
di Belo su Mer, con la guida abusiva del deserto spinoso di Mangily che viveva
in una baracca piccola e incredibilmente fatiscente con la moglie e due figli,
e io il giorno prima mi ero arrabbiato perché non mi aveva dato il resto di 1
euro, con Veronique bellissima bambina di Mangily, con Fara e suo figlio di 8
anni a Majunga, con la ragazza meticcia cinese con il bambino piccolo a
Manakara, con le bambine della stazione di Sahambary, con la mamma e il suo
bambino che viaggiava tre giorni sul treno merci per portare le banane a
Moramanga e forse, forse se le vendeva guadagnava 50.000 o 100.000 fmg, con la
mamma magrissima che sembrava una vecchia e la sua bambina che aveva
l'orecchino fatto con un pezzo di corda di Mahanoro, con tanti che ho anche
solo intravisto per un momento viaggiando con i taxi brousse o camminando nei
Quartiers quando ancora si poteva fare, anche con la macchina fotografica. E
comunque mi rimane sempre negli occhi Marceline che si volta e mi sorride e si
perde nel buio e il mio senso di impotenza di fare qualsiasi cosa. Ma come dice
il mio amico George, meticcio cinese, padrone dell'epicerie al mercato Bazary
Be di Tamatave, "Ne pas cassez téte" e si va avanti consapevoli della
propria solitudine.
Un articolo delizioso. Uno dei tanti pezzi di pianeta con tante sublimi bellezze e tante sublimi povertà. Ho rivissuto le medesime sensazioni di quando leggevo le cronache del tuo recente ritorno in Madagascar. Io vivo in uno dei posti più belli e più brutti del mondo (Napoli) che, anche se in scala diversa, mi provoca tanta tristezza. La mattina attraverso quartieri poveri e vedo gente dormire nel proprio vomito e/o nei propri cartoni. Non ne posso più. Ho (avrei) voglia di vivere gli ultimi anni della mia vita in posti tranquilli, puliti, ordinati e, perché no, anche belli. Non ho mai potuto leggere tranquillamente un libro al parco o andare a vedere i giochi d'acqua in una villa comunale senza essere accerchiato da rom, camorristi, sbandati, poveretti, barboni, emarginati. Ho subito più rapine io che tutte le banche del mondo.
RispondiEliminaLa povertà è una brutta cosa.
Ho negli occhi la foto della bellissima Marceline e mi si spezza il cuore al sapere come vive e cosa deve fare per vivere.
Mi fermo qui.
Ottimo l'articolo e chi l'ha scritto. Ciao
Sto per partire per il mio decimo viaggio in Madagascar.
EliminaHo in mente un articolo di commiato per i miei affezionati lettori, che comunque non resteranno orfani dei miei reportages.
L'autore, che conobbi in aereo nel 2006, si strugge dalla voglia di partire di nuovo, ma la crisi economica e un'anziana parente ancora in vita in quel di Pavia, lo tengono per ora inchiotato in Italia.