martedì 8 luglio 2014

Il canto mattutino dei motorini d’avviamento


Una tipica giornata ad Antananarivo comincia quando è ancora buio, con il petulante gracchiare di mille motorini d’avviamento. Ce ne sono di quelli aitanti che soffrono di eiaculazione precoce, con soddisfazione dei loro proprietari che non devono aspettare troppo prima di partire e ce ne sono di quelli che appartengono ad anziani organismi meccanici che ci mettono un po’ prima di compiere il loro lavoro. E’ facile, in tal caso, immaginare i proprietari aggrappati alla chiavetta d’accensione inveire, maledire, bestemmiare o anche solo supplicare e pregare che il motore parta. Ma nel frattempo, dalla mia privilegiata postazione al secondo piano dell’albergo, posso valutare, standomene ancora disteso a poltrire nel letto, le varie tonalità di rumore, dallo squillante al gracidante, dal raschiante allo scoppiettante, a seconda dello stato di salute degli automezzi e degli strapazzi subiti nelle loro normalmente lunghe vite. Già le prime macchine si avviano pigre sull’acciottolato dietro il Pavillon de Jade, per portare i loro padroni al lavoro e ancora qualche cane abbaia in lontananza, per motivi che solo lui conosce, ma sono rari, i cani, a Tanà, perché non hanno vita facile e il cibo degli immondezzai lo devono contendere con turbe di barboni vestiti di stracci e del colore delle strade asfaltate. Il nome di questi ultimi, non a caso, infatti, è “Katramine”.

 
Io sono un privilegiato, come detto, e posso farmi una doccia calda tutte le mattine appena alzato, anche se il rubinetto dell’acqua fredda salta via irreparabilmente, com’è successo ieri, e poi posso andare a far colazione al “Blanche neige” con Tina, per cominciare bene la giornata con qualcosa di caldo in corpo, dal momento che qui in Madagascar – non dimentichiamolo – è inverno e siamo sugli altipiani. Dopo di che, una visita al mercato di Analakely non guasta. C’è sempre qualcosa d’interessante da vedere o da comprare. Fossili e ammoniti, che però lì non ci sono, non è il caso di comprarli perché sono appena arrivato e non voglio appesantire la valigia, ma qualcosa di leggero, evitando accuratamente i - per me stucchevoli - souvenirs, si può sempre comprare.

Stavolta, benché non fossi partito dall’albergo con quella precisa intenzione, è toccato a una vecchia banconota, di quando ancora erano in circolazione i franchi malgasci, poi sostituiti dagli ariary. L’ho presa perché mi sono piaciuti i suoi colori e se in futuro non dovesse più piacermi, potrò venderla ai mercatini, visto che fra i clienti ci sono ancora i numismatici collezionisti di monete, francobolli e banconote. Meno degli anni scorsi sono invece quelli che collezionano le tessere telefoniche, di quando ancora si usavano le cabine pubbliche.
L’ho comprata sulla scalinata di Ambondrona dove sapevo che avrei trovato libri usati, per la maggior parte testi scolastici, e cartoline. Queste ultime non mi attirano, anche se ieri ho dato un’occhiata svogliata a una manciata di esse, perché a casa in Italia ne ho uno scatolone pieno. La contrattazione è stata indolore perché non ero molto interessato all’acquisto e quando mi hanno chiesto 4.000 ariary (un euro e 30) ho risposto che gliene davo la metà. Sentendo che non erano d’accordo, ho fatto il gesto di allontanarmi e non l’ho fatto recitando, ma proprio perché ero disposto rinunciare alla merce e questo è bastato alle due donne a rassegnarsi ai 2.000 ariary. La presenza di Tina le ha convinte che non avrei dato di più e la mia guida ha fatto il lavoro sporco di trafficare con il denaro, quello in uscita e quello in entrata.
Pranzo al “Le Celaos”, dove c’è wi-fi gratuito, siesta pomeridiana, perché ai tropici ci sta bene e nel pomeriggio in taxi alla sede dell’A.I.M. (Associazione italiani in Madagascar), che naturalmente era chiusa. Poiché c’era ancora tempo prima di cena, c’è stato posto per un salto al mercato di Andravoahangy, a dare un’occhiata a fossili e minerali. Sulla strada del ritorno non potevano mancare le mofokida, banane fritte, deliziose e per niente indigeste. Infine, la sera, a cena al Pavillon, perché Le Celaos era chiuso per turno di riposo. Domani ricominceranno a cantare i motorini d’avviamento, sostituiti nel corso della mattinata dagli immancabili ronzii delle frese circolari, perché c’è sempre, da qualche parte ad Antananarivo, qualche carpentiere alle prese con ostinato metallo recalcitrante.

2 commenti:

  1. Grazie per le ottime descrizioni. Come sempre.
    Partono automatiche tante considerazioni su usi e costumi, ritmi ed abitudini di vita, ricchezze e povertà.
    Si colgono le differenze e le cose in comune.
    E mi viene in mente la mia Renault 19 che ha ormai 26 anni di vita ed un vecchio cacciavite infilato nella portiera per bloccare il vetro che da anni non si alza più con la manovella che gira a vuoto. Al semaforo vengo sempre affiancato da auto nuove e frizzanti e suv giganteschi con alla guida minuscole ed esili ragazze che con disinvoltura parlano al cellulare, fumano e si ridanno il rossetto allo specchietto retrovisore.
    Loro fresche come rose in un asettico e spazioso abitacolo ed io ad asciugarmi il sudore dopo aver aggiunto un altro po' di acqua al radiatore. Le stelle e le stalle. Ciao

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