domenica 17 maggio 2015

Pannelli fotovoltaici in sembianza umana


Fonte: Barinedita

Vivere e nutrirsi come delle piante, mediante un processo assimilabile alla fotosintesi clorofilliana, pur essendo degli esseri umani. E’ ciò che si chiama “alimentazione pranica”, concetto che potrebbe essere parzialmente chiarito con il termine gemello di “respirianesimo” o ancora semplificando con “mangiare attraverso il naso l’energia vitale che ci circonda”. In pratica i respiriani non mangiano sostanze né solide né liquide, limitandosi di fatto a bere dell’acqua e soprattutto a respirare. Sì, perché a detta loro inalando l’aria ci si nutre. La parola “prana” deriva dal sanscrito ed è traducibile con “vita”, “respiro” e “spirito” e sta a indicare, appunto, il nutrirsi attraverso solo e unicamente l’olfatto, degli atomi che compongono la materia circostante.



Un concetto che è bene prendere con le pinze. Per quanto ne sappiamo noi, un uomo può vivere senza cibo dieci, quindici, al massimo venti giorni e comunque in caso di denutrizione è soggetto a problemi quali la difficoltà a muoversi, a parlare, persino a ragionare. E se poi si continua a non mangiare, c’è solo una possibilità: si muore. Sul web però circolano varie leggende, come quella dell’australiana Jasmuheen, madre fondatrice del breatharianesimo (breath in inglese significa “respiro”), la quale sostiene di nutrirsi di luce, assimilata attraverso tecniche meditative e controlli del respiro. Ancora, il francese Henri Munfort è uno dei più conosciuti breathariani: beve solo acqua e dorme circa un’ora a notte. In ultimo, non si può certo non citare l’82enne asceta indiano Prahalad Jani
(nella foto sopra), che sostiene di vivere da 74 anni senza bere né mangiare, praticando solo yoga e meditazione.

In Italia non ci sono molte tracce dei respiriani, ad eccezione di qualche gruppo su Facebook che si erge, appunto, a spazio di condivisione  sul respirianesimo. «Seguo questa pratica dal 2008 - ci racconta il 61enne Domenico, iscritto al gruppo facebook “alimentazione pranica” - e mi sento bene e in forma. Per trent’anni sono stato vegetariano, scelta dettata dal mio amore per gli animali naturalmente. Poi un bel giorno mi è capitato di leggere dei libri e del materiale sull’argomento e ho deciso di intraprendere questa strada. Sono alto 1.73 cm e peso 70 chilogrammi, il mio peso forma. Sottolineo che non si diventa respiriani per una banale questione di linea, ma perché è lo spirito a volerlo. È un cammino all’interno del quale capiamo che l’alimento naturale dell’uomo è l’aria».

«Sono pranico da tre anni- dice il 44enne Nicolas - amministratore del gruppo facebook -  Noi umani siamo immersi in questa energia vitale come i pesci lo sono nel mare. Qualsiasi cosa è cibo per noi: inspirare un pezzo di legno è, ad esempio, prana in forma solida, stessa cosa l’acqua o un pezzo di stoffa. Tutto ha la sua energia vitale e noi ci nutriamo di essa. Ci basta respirare e trasformare in cibo, mediante la meditazione, ciò che annusiamo».

Spiritualità, raccoglimento e digiuno. Sono questi, scopriamo, i tre perni sui quali saldare la strada verso l’inedia. «Si tratta di un percorso molto intimo e personale- continua Domenico-. Ritengo che il pranico avvicini a Dio, alla figura che ognuno ha del proprio Dio, chiaramente. Oltre a farti sentire in pace con te stesso, ti connette con il cosmo, l’universo, tutto il creato e ti senti a un passo dalla divinità. Ti dà una forza interiore inimmaginabile e ti fa stare bene».

Alla componente spirituale si accorpa il processo meditativo, anch’esso un momento essenziale e imprescindibile. «La nostra filosofia è quella del “qui ed ora” - sottolinea Nicolas - cioè l’essere presenti in un determinato momento, dimenticandosi del passato e del futuro. È una tecnica che aiuta a controllare i movimenti del respiro e a conoscere la propria anima e il proprio corpo. Il cibo invece anticipa le emozioni, le veicola nella nostra mente, facendoci già immaginare cosa mangeremo a cena o a pranzo il giorno dopo. Invece con la meditazione ci concentriamo su di noi, e, al tempo stesso, ci nutriamo di energia vitale che, ripeto, è ovunque e pressoché illimitata».

«Quando ho iniziato questo cammino - prosegue Domenico - era inevitabile avere voglia di mangiare un frutto, essendo il mio corpo abituato a ricevere cibo. Però mi bastava pensare a una mela, ad esempio, e subito sentivo in bocca il suo sapore dolce e succoso e il suo profumo. Era come se l’avessi appena mangiata. Adesso non lo faccio più, non ne sento la necessità».

Tuttavia giunti a questo punto, il confine tra respirianesimo e digiuno diventa labile. Non a caso abbiamo anche parlato del
letale fenomeno delle "pro ana" che ultimamente sta spopolando tra le adolescenti. «C’è una grossa differenza – afferma Nicolas -. Il digiuno è uno stato di privazione forzata, che ti fa vivere sulle tue riserve e ti fa stare male, conducendoti alla morte. Nel nostro caso non è così. Noi compiamo un viaggio di felicità in cui trasformiamo ciò che la natura ci dà, senza bisogno di mangiare il comune cibo. Non è farsi mancare qualcosa, è mangiare diversamente. Siamo come dei pannelli fotovoltaici».

Ma come si diventa “pannelli fotovoltaici”? «Diciamo che ci sono diversi stadi - spiega Domenico -. Tutto inizia, di solito, dall’essere
vegetariani, poi vegani, poi fruttariani o crudisti, fino ad abbandonare qualsivoglia cibo solido per dedicarsi alle bevande, succhi di frutta, tisane e infine a non assumere più cibo. Anche se i vari Jasmuheen e Monfort – aggiunge Nicolas – suggeriscono dei metodi precisi per diventare respiriani».

E sembra che i pranici dormino pochissimo. «Quando si mangia- afferma Domenico- l’80% delle nostre energie sono impiegate per la digestione. Se si smette di mangiare cibo solido questa energia rimane inutilizzata, in riserva. E quindi non ci serve dormire per recuperare le forze, perché ce le abbiamo già. Io ultimamente dormo tre o quattro ore a notte, talvolta anche una. In questo modo ho una giornata che dura quasi 24 ore e ho più tempo per dedicarmi alle mie passioni».

Per diventare respiriani però si ha bisogno di aiuto, nel senso che ci si affida a un “accompagnatore”, una persona che pratica da molto più tempo e con la quale si condividono le difficoltà iniziali. Una sorta di “psicologo dell’alimentazione” verrebbe da chiamarlo, che monitora tutti gli aspetti e i segni vitali del neofita.

«È fondamentale che ci sia un accompagnatore perché durante la prima fase il corpo deve disintossicarsi da anni di cibi nocivi - conclude Domenico -. Non è facile, perché coinvolge il piano emozionale e bisogna avere un cuore aperto per poter condividere le proprie sensazioni. Inoltre è utile per capire se si è veramente pronti a una cosa del genere. Se non si è preparati e convinti non è difficile che ci scappi il morto. Ciò che facciamo non è eccezionale, tutti possiamo prendere coscienza dell'energia illimitata che ci circonda e cibarci di essa, ma va fatto nella totale consapevolezza».

2 commenti:

  1. Mi piacerebbe proprio incontrarne uno e farci una bella chiacchierata! E' davvero ammirevole e credo che possano esistere persone che lo fanno. Ma secondo me, la graduale eliminazione del cibo dovrebbe essere accompagnata da una presa di consapevolezza importate... altrimenti si che potrebbero sorgere problemi, anche gravi.
    Buona giornata :)

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    1. E' uno dei tanti misteri dell'essere umano e dell'universo in genere, ma non so se parlando con uno di loro si capirebbe come fanno.

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