giovedì 28 maggio 2015

La pietra d'inciampo del mantra


Anna e Giacomo s'incontrarono ancora dopo quella prima volta, poiché si erano piaciuti. Se la prima volta si erano incontrati a metà strada, le volte successive lei prese il treno e accettò di entrare a casa di lui, con tutto quello che ciò può comportare e che i miei lettori possono facilmente immaginare. Avevano molte cose in comune, tra cui la non più giovane età, e quella particolare visione della vita che va sotto il nome di “complottismo”. Se qualcuno dei miei lettori, giunto fin qui, pensa che questo articolo tratti di temi “complottisti”, si sbaglia, perché a un certo punto si arriva ad avere la sensazione di aver detto già tutto, in fatto di teorie del complotto. Indi per cui, se le aspettative nei confronti di questo pezzo sono di quel tenore, consiglio i miei affezionati lettori di interrompere la lettura e di non perdere ulteriore tempo, giacché ciò che vado a raccontare è letteratura connotativa, personale e intimistica, ovverosia di tipo emozionale-psicologico. Per palati fini, insomma. Del resto, le due colonne portanti della letteratura sentimentale sono, da sempre, Eros e Tanathos, amore e morte, e nel caso di Anna e Giacomo, almeno fino al momento in cui i fatti mi sono stati riferiti, imperava placidamente l'eros e della tanathos non v'era ancora traccia.



Poiché, come dicono gli anglosassoni, il diavolo è nei dettagli, man mano che Anna e Giacomo si conobbero, nei loro reciprochi gusti, aspirazioni, idiosincrasie e paranoie, Giacomo venne a sapere che Anna era una praticante buddista, il che significa che ogni giorno recitava la preghiera del “Nam-myoho-renge-kyo”, che probabilmente è il mantra più famoso del buddismo giapponese. Giacomo conosceva solo l'induista “Om-mani-padme hum”, da recitarsi reiteratamente nella posizione del loto o mezzo loto. Per parte sua, Giacomo era giunto a un punto della sua vita in cui riteneva di essersi vaccinato nei confronti delle fedi e delle religioni, benché anche l'essere studiosi della teoria del complotto poteva implicare un certo atto di fede, in alcuni casi, data l'implicita impossibilità di verificare le teorie stesse. 

E in ogni caso, mai avrebbe immaginato, giunto alla sua non più giovane età, di ritrovarsi seduto su un cuscino al fianco della donna amata, con le mani giunte, con gli occhi chiusi, di fronte a un altarino su cui Anna aveva disposto una candela di cera bianca, una candeletta d'incenso, un recipiente di metallo con coperchio, colmo d'acqua, un campanello di bronzo da percuotersi con un bastoncino e della frutta su un piattino. Candela di cera e candeletta d'incenso venivano accesi prima di dare inizio alle preghiere, il recipiente veniva scoperchiato e durante la recita del mantra, che non era composto solo dalla frase già citata, ma anche da una lunga sfilza di parole in simil-giapponese, Anna prendeva il campanello e lo percuoteva con il bastoncino, sì da creare l'atmosfera giusta, tipica del tempio buddista. Inframmezzava questa operazione anche sfregando i grani del rosario che teneva fra le mani giunte, ottenendo un rumore simile a quello che si ottiene capovolgendo i “bastoni della pioggia” di sudamericana fabbricazione, oggetto sciamanico sconosciuto ai cultori del buddismo Zen.


La prima seduta, che modernamente si può anche chiamare “lesson one”, andò a finire male. Fu una vera e propria pietra d'inciampo per Giacomo. La donna dimostrò di non avere molta pazienza con il suo ottuso e refrattario studente. Il quale, dopo pochi secondi dall'inizio delle operazioni, forse perché non aveva ben chiaro cosa lo aspettasse o perché lo colse un certo panico da ateo recidivo, disse con tono deciso alla sua improvvisata guida spirituale: “Anna, io non diventerò mai buddista!”. Al che la donna interruppe la performance, si alzò in piedi di scatto e disse qualcosa che turbò assai il novello adepto: “Allora, finiamo qui!”, frase che Giacomo interpretò nel peggiore dei modi, cioè che lì finisse la loro neonata relazione sentimentale. Passarono alcune ore d'angosciante incertezza per Giacono, dopo che Anna se ne fu tornata a casa sua, perché l'autostima del nostro confuso protagonista non era mai stata troppo robusta e solo dopo un certo tempo Anna chiarì che non intendeva riferirsi alla relazione, ma alla sua conversione a una pratica che per lei era da anni della massima importanza. Per amore si può far tutto, anche smuovere le montagne, se necessario, e Giacomo fece di tutto, una volta scampato il pericolo di essere abbandonato dalla nuova compagna, per entrare nell'ottica che, in fondo, trattandosi di una filosofia piuttosto che di una religione, il buddismo non avrebbe incrinato la sua fede nel più stretto agnosticismo e una disciplina come la meditazione o la recita di un mantra, uno qualsiasi, gli avrebbe recato benefici non disprezzabili sia sul piano fisico che mentale.

Perciò, quando si sedettero uno a fianco dell'altra in quella che modernamente si può chiamate la “lesson two”, Anna poté portare a termine tutto il ciclo di preghiere e di riti richiesti dalla pratica della Soka Gakkai e Giacomo se ne stette seduto sul cuscino il più comodamente possibile, tenendo gli occhi chiusi e le mani dove gli era più comodo tenere, anche, a tratti, con le palme accostate alla maniera dei preti in San Pietro. Non era in grado di emettere suoni, in quella seconda lezione, non sapendo quando fosse il momento giusto per farlo, anche perché Anna andava avanti come un treno, con voce potente, inframmezzata da colpi di tosse e simile a una mitraglietta, grazie alla decennale pratica. Per Giacomo, la recita del “Nam-myoho-renge-kyo” era uno scioglilingua già di per sé e di sicuro non era in grado di eguagliare la velocità di pronuncia della sua amica.


Una tale operazione, ripetuta una o più volte al giorno, non ha in teoria solo lo scopo di stabilizzare l'animo del soggetto, allontanando stress e cattivi umori, ma anche quello di far avverare desideri e speranze, sulla base della famosa legge di attrazione che, a quanto pare, non è nata negli Stati Uniti in tempi moderni, ma in Giappone in epoche storiche. Nichiren Daishonin, fattosi monaco a 16 anni, visse nel tredicesimo secolo dopo Cristo e divenne una figura importante e controversa del buddismo. Infatti, Anna, fin dalla prima lezione, aveva esortato Giacomo a mettere per iscritto su un apposito quaderno le aspettative a breve, a medio e a lungo termine, così da focalizzare il pensiero sugli obiettivi da raggiungere. O, se vogliamo dirla in modo esoterico, così da far sapere all'universo quali sono gli obiettivi che noi singoli e miseri mortali vogliamo raggiungere grazie alla sua misteriosa forza e al suo aiuto. Un ragionamento che a Giacomo non giungeva nuovo, poiché anche per molti cristiani esiste una tale corrispondenza tra il fedele e Dio, cioè tra il contingente e il trascendente, e Giacono stesso per molti anni, prima che sulla sua strada si presentasse quella adorabile e intransigente buddista, aveva creduto di essere spesso aiutato da angeli o altre entità spirituali, benché di essi ne sospettasse solo l'esistenza senza aver mai avuto alcuna prova del loro effettivo esistere.


Fino a questo momento, stando alle confidenze che Giacomo mi ha fatto, la recita del mantra Zen sta cominciando a diventare cosa normale, per lui, sebbene non abbia avuto ancora prova dell'efficacia nel fargli avere quanto desiderato. Non è che avesse chiesto grandi cose, non la vincita di un terno al Lotto, non la riscossione di una cospicua eredità, né altri vantaggi di tipo pecuniario, ma se un desiderio di vecchia data stava forse per essere esaudito, prima ancora ch'egli diventi un esperto praticante buddista, era proprio quello di poter incontrare una donna angelicata come quella che gli stava seduta a fianco. E, da questo punto di vista, si può dire che l'universo aveva agito per il meglio con lui. In ritardo di qualche decennio, ma alla fine lo aveva esaudito. Il tempo ci dirà se Anna e Giacomo continueranno e frequentarsi e ad amarsi, pensando magari di averlo già fatto in una vita precedente, in altre sembianze, e in tal caso si dovrà proprio ammettere che la legge di attrazione esiste e, con i suoi tempi, agisce per il meglio. Per tutti, atei e agnostici compresi. Molte vite, un'anima sola, come recita il titolo del libro che Anna gli aveva prestato.


2 commenti:

  1. Allora Roberto, ti annuncio ufficialmente che, PUR NON FACENDO PIU' PARTE dell'Organizzazione Soka Gakkai, ho ricominciato a recitare il mantra in questione. In effetti gli riconosco una efficacia. Certo mi definisco fondamentalmente un anarchico PAGANO, in quanto non credo in nessuna religione MONOTEISTA, compreso il BUDDISMO, ma nell'ANTICO POLITEISMO, che vedeva il divino IN OGNI ASPETTO DELLA NATURA ed era la vera ed unica religione umana diffusa in tutto il mondo, prima dell'arrivo di questi prepotenti di "dei unici". Per me la recitazione di questo o altri mantra non è affatto in contrasto con questo mio profondo anelito pagano, politeista e sciamanico... Ciò che rifiuto IN MANIERA ASSOLUTA è LA STRUTTURA. P.s.: credo che la recitazione di questo mantra sia LEGATO IN QUALCHE MODO ALLA VITA DI NOI ABDOTTI DA ENTITA' ALIENE O NON UMANE, diciamo che ne ho quasi la certezza. Tant'è vero che nella vita dello stesso Nichiren, fu una STRANA LUCE NEL CIELO NOTTURNO ad impedire che venisse decapitato, perché tale apparizione spaventò i soldati che dovevano ucciderlo... Chi ha orecchi per intendere... Billy Pagàno The Kid

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