martedì 19 maggio 2015

Femministe, dove siete?


Fonte: Dagospia

Luigi Serafini è un artista straordinario, di profonda cultura e di vaste influenze, che Vittorio Sgarbi collocava fra Leonardo ed Eta Beta. Al gusto antico per una certa forma di erudizione, Serafini unisce un amore sbarazzino per tutto ciò che è giocoso e stravagante, non solo nel suo capolavoro, il Codex Seraphinianus celebrato da Calvino. Ma anche in lavori come La donna carota, installazione in plastica già esposta al Pac di Milano, che attualmente fa bella mostra di sé nel padiglione di Eataly all’Expo, dove l’ha voluta lo stesso Sgarbi. Questa donna artificiale - a grandezza naturale - sembra viva.

 
La parte superiore del corpo, fino al bacino, è evidentemente femminile. Nel senso che i seni e il pube (non depilato) sono scoperti. Dalla vita in giù, i tratti umani vanno degradando, e abbiamo una sirena che al posto della coda da pesce vanta una robusta carota. Le braccia sono aperte e le mani reggono due carote che puntano verso il cielo. La creatura fantastica è adagiata su un letto di terra, circondata da altre carotine e conigli. Un bel gioco, dunque, in senso nobile. La plastica riproduce qualcosa di antico, traspone nella postmodernità le curiosità dei bestiari medievali. Certo, vedere La donna carota al Pac non è la stessa cosa che vederla all’Expo. Non solo e non tanto perché le famigliole di passaggio potrebbero scandalizzarsi per via della femminilità prorompente, imposta anche agli occhi di bambini e altri che preferirebbero non vederla. Dopo tutto, basta accendere la tv per imbattersi in nudità che non posseggono certo la stessa grazia.
 
Però, sbattendola nel bel mezzo dello zoo etnico ed etico di Farinetti - dove persino il «locale», il «biologico», il «tradizionale» puzzano d’artificioso - si rischia di ridurre l’installazione serafiniana a mera «curiosità», buona per strappare lo sghignazzo del ragazzotto o lo sconcerto della sciura. L’opera d’arte si tramuta in orpello per confortare l’intellettuale che vuole riempirsi la pancia, a patto che ci sia «la cultura» con cui mangiare. Ma a sorprendere più di tutto è che La donna carota abbia suscitato così poca indignazione. Giusto la sparata di Anita Sonego, consigliera comunale di «Sinistra per Pisapia». Secondo costei, l’opera «è talmente trashissima, maschilista e pecoreccia che non varrebbe la pena parlarne». Però ne parla, in una lingua tutta sua. E si scaglia contro il «maschilismo»: la donna ridotta a vegetale, dunque umiliata; la carota come «simbolo fallico» (che intuizione)... Dopo tutto, tali uscite vanno messe in conto quando si espone un’opera all’interno di un baraccone simile. Cosa stupisce, allora? Che la Boldrini abdichi.
Che le vestali alla «Se non ora quando» non siano pervenute. Tacessero sempre, ci godremmo in santa pace l’opera di Serafini. Ma sorge il dubbio: non è che, trattandosi dell’amico ristoratore progressista Oscar Farinetti, non vale la pena indignarsi? Se in una pubblicità una modella si sveste, ecco la Presidenta della Camera tuonare. Se il politico avverso si intrattiene con fanciulle, dàgli al vizioso nel lupanare. Ma a Eataly si possono esporre anche il fallico carotone (perché così verrà percepito dai più) e la tetta di plastica (che farà invidia a molte visitatrici, anche loro plasticate, ma non da artisti). Se La donna carota - con relativa patata - ha il timbro del prode Farinetti, le donne coniglio tacciono.

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