Fonte: Dagospia
Luigi Serafini è un
artista straordinario, di profonda cultura e di vaste influenze, che
Vittorio Sgarbi collocava fra Leonardo ed Eta Beta. Al gusto antico
per una certa forma di erudizione, Serafini unisce un amore
sbarazzino per tutto ciò che è giocoso e stravagante, non solo nel
suo capolavoro, il Codex Seraphinianus celebrato da Calvino. Ma anche
in lavori come La donna carota, installazione in plastica già
esposta al Pac di Milano, che attualmente fa bella mostra di sé nel
padiglione di Eataly all’Expo, dove l’ha voluta lo stesso Sgarbi.
Questa donna artificiale - a grandezza naturale - sembra viva.
La parte superiore del
corpo, fino al bacino, è evidentemente femminile. Nel senso che i
seni e il pube (non depilato) sono scoperti. Dalla vita in giù, i
tratti umani vanno degradando, e abbiamo una sirena che al posto
della coda da pesce vanta una robusta carota. Le braccia sono aperte
e le mani reggono due carote che puntano verso il cielo. La creatura
fantastica è adagiata su un letto di terra, circondata da altre
carotine e conigli. Un bel gioco, dunque, in senso nobile. La plastica riproduce
qualcosa di antico, traspone nella postmodernità le curiosità dei
bestiari medievali. Certo, vedere La donna carota al Pac non è la
stessa cosa che vederla all’Expo. Non solo e non tanto perché le
famigliole di passaggio potrebbero scandalizzarsi per via della
femminilità prorompente, imposta anche agli occhi di bambini e altri
che preferirebbero non vederla. Dopo tutto, basta accendere la tv per
imbattersi in nudità che non posseggono certo la stessa grazia.
Però, sbattendola nel
bel mezzo dello zoo etnico ed etico di Farinetti - dove persino il
«locale», il «biologico», il «tradizionale» puzzano
d’artificioso - si rischia di ridurre l’installazione serafiniana
a mera «curiosità», buona per strappare lo sghignazzo del
ragazzotto o lo sconcerto della sciura. L’opera d’arte si tramuta
in orpello per confortare l’intellettuale che vuole riempirsi la
pancia, a patto che ci sia «la cultura» con cui mangiare. Ma a sorprendere più
di tutto è che La donna carota abbia suscitato così poca
indignazione. Giusto la sparata di Anita Sonego, consigliera comunale
di «Sinistra per Pisapia». Secondo costei, l’opera «è talmente
trashissima, maschilista e pecoreccia che non varrebbe la pena
parlarne». Però ne parla, in una lingua tutta sua. E si scaglia
contro il «maschilismo»: la donna ridotta a vegetale, dunque
umiliata; la carota come «simbolo fallico» (che intuizione)... Dopo
tutto, tali uscite vanno messe in conto quando si espone un’opera
all’interno di un baraccone simile. Cosa stupisce, allora? Che la
Boldrini abdichi.
Che le vestali alla
«Se non ora quando» non siano pervenute. Tacessero sempre, ci
godremmo in santa pace l’opera di Serafini. Ma sorge il dubbio: non
è che, trattandosi dell’amico ristoratore progressista Oscar
Farinetti, non vale la pena indignarsi? Se in una pubblicità una
modella si sveste, ecco la Presidenta della Camera tuonare. Se il politico avverso
si intrattiene con fanciulle, dàgli al vizioso nel lupanare. Ma a
Eataly si possono esporre anche il fallico carotone (perché così
verrà percepito dai più) e la tetta di plastica (che farà invidia
a molte visitatrici, anche loro plasticate, ma non da artisti). Se La
donna carota - con relativa patata - ha il timbro del prode
Farinetti, le donne coniglio tacciono.
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