Testo di Paolo Sensini
Nella sua "Lettera
di un'ebrea a Francesco" pubblicata oggi sul Giornale, Fiamma Nirenstein intima "con umiltà ma guardandolo negli occhi"
a Papa Bergoglio di non riconoscere ufficialmente la Palestina perché
ciò, nell'economia del suo ragionamento, significherebbe "avallare
uno Stato antisemita". In questo modo, giocando sull'ignoranza
(nel senso di non conoscenza) della gente e sul senso di colpa
instillato dal secondo dopoguerra nei non-ebrei, si vuole far credere
in maniera fraudolenta che gli unici "semiti" esistenti
siano, appunto, solo e unicamente gli ebrei.
E poiché l'accusa di
"antisemitismo" è divenuto oggi nell'immaginario
occidentale il termine più riprovevole e squalificante che vi sia,
ecco che la Nirenstein svia il discorso dal cuore del problema sul
quale ruota tutto il conflitto in quell'area, ossia il furto di terra
subito dai palestinesi nel 1948 ad opera degli ebrei, con la pretesa
"denigrazione antisemita" di cui i palestinesi sarebbero i
protagonisti. Un'accusa, a ben vedere, che vuole far deragliare
l'intero contenzioso arabo-israeliano su un binario morto.
L'aggettivo "semitico", infatti, si riferisce propriamente
ai Semiti, ossia ad una famiglia di popoli che si è diffusa nella
zona compresa fra il Mediterraneo, i monti d'Armenia, il Tigri e
l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche all'Etiopia ed al
Nordafrica; come aggettivo sostantivato ("il semitico"),
esso indica il gruppo linguistico corrispondente, il quale si
articola in tre sottogruppi: quello orientale o accadico (che nel II
millennio si divise a sua volta in babilonese e assiro), quello
nordoccidentale (cananeo, fenicio, ebraico, aramaico biblico,
siriaco) e quello sudoccidentale (arabo ed etiopico).
Del tutto
improprio è dunque l'uso dei termini "semita" e "semitico"
come sinonimi di "ebreo" e di "ebraico",
esattamente come sarebbe improprio dire "ariano" o
"indoeuropeo" in luogo di "italiano", "tedesco",
"russo" o "persiano". Se usato correttamente,
dunque, il vocabolo "antisemitismo" - coniato nel 1879 dal
giornalista viennese Wilhelm Marr - dovrebbe indicare l'ostilità nei
confronti dell'intera famiglia semitica, la quale ha oggi la sua
componente più numerosa nelle popolazioni di lingua araba, sicché
la qualifica di "antisemita" risulterebbe più adatta a
designare chi nutre avversione nei confronti degli Arabi, piuttosto
che i "rei" di ostilità antiebraica.
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