Ventidue
anni prima che uscisse il film Matrix, uno scrittore americano di nome Philip Dick, morto all’età di 54 anni per la troppa droga assunta o per essersi sposato cinque
volte, anticipò l’esistenza di una realtà virtuale programmata al computer,
invisibile ai nostri sensi, ma di cui possiamo accorgerci quando notiamo qualche
stranezza come la ripetizione di avvenimenti. E’ facile pensare al fenomeno del
dejà vu. Nel 1967 la sua casa fu visitata da sconosciuti che aprirono la
cassaforte dove custodiva il suo schedario (se fossero stati ladri normali
avrebbero cercato soldi e gioielli) e Dick non potè fare a meno
di sospettare dell’FBI, anche se gli autori dell’intrusione non furono mai
scoperti. Eppure, si trattava solo di uno scrittore di fantascienza e non di
uno scienziato, un ufologo o un astronauta. Poiché a un certo punto della sua
vita cominciò a sentire delle voci, si può ipotizzare che gli abbiano inserito
qualche microchip nel cervello, tecnica che gli Illuminati non hanno mai messo
da parte. Se le intuizioni di Philip Dick sono corrette, anche le sue opere si
possono inserire nella categoria della letteratura preveggente, al pari di “1984”,
dei “Protocolli dei sette savi di Sion”, e altre opere.
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