La prima volta che vidi i condannati del girone infernale degli
spaccapietre, fu in India nel 1991. Anche in Madagascar, molti anni
dopo, mi capitò di vederli. C’è una spartizione nel lavoro: gli
uomini spaccano le pietre più grosse che sono fatte in pezzi ancora
più piccoli dalle donne e a volte anche dai bambini. Alla fine
immagino si ottengano pietre per l’edilizia o per l’asfaltatura
delle strade. Un gesto meccanico, ripetitivo, alienante, assimilabile
alle nostre catene di montaggio, se non altro a quelle che ci sono
state tramandate dalla storia e dalla cronaca fino addentro alla
seconda metà del Ventesimo secolo. Charlie Chaplin ha fatto anche un
film, “Tempi moderni”, in cui in una scena memorabile finiva
risucchiato in ingranaggi più grandi di lui.
Qui, lungo la RN7, all’altezza di Ambatolampy, non ci sono
ingranaggi di una megafabbrica, ma un sole spietato e un orario di
lavoro senza limiti, interrotto solo per i bisogni fisiologici o per
allattare il bambino al seno, visto che a casa i figli non si possono
lasciare da soli e il marito è impegnato in un girone infernale poco
distante. Tecnicamente, affinché le pietre non schizzino lontano
durante il colpo di martello, se ne mettono alcune, da sbriciolare,
all’interno di un anello di gomma del diametro di circa 20
centimetri, alto due, dotato di manico e tenuto con la mano sinistra,
mentre con la destra si sferra il colpo. Occhiali protettivi, poiché
qualche frammento di roccia può sempre arrivare negli occhi, neanche
a parlarne. Il bambino in grembo tiene normalmente gli occhi chiusi,
e quindi a lui gli occhiali non servono di sicuro. Giorno dopo
giorno, dall’alba al tramonto, probabilmente sette giorni su sette,
con forse una pausa di qualche ora per andare a messa. Questo è
l’inferno in terra per milioni di diseredati, il prototipo dello
schiavo che tanto piace all’Oligarchia al potere, quella che vuole
instaurare il NWO. Dante li aveva visti, gli schiavi abbrutiti dal
lavoro. E anche a me capita talvolta questo poco edificante
privilegio.
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