lunedì 19 dicembre 2016

Maestri e contadini


Un libro illustrato che sfogliavo nell’infanzia s’intitolava “Maestri e contadini”. Fu scritto e pubblicato in un’epoca in cui più del 50 % della popolazione lavorativa italiana era dedita all’agricoltura e in cui il lavoro di maestro elementare era visto come una missione, in primis nei confronti dei bambini, in secundis nei confronti degli adulti analfabeti. Vedasi Alberto Manzi con il suo programma di successo “Non è mai troppo tardi”. Tanto per fare un esempio, qualche decennio prima, e precisamente sotto il fascismo, i miei nonni materni, entrambi maestri elementari, furono mandati – o chiesero di andare – nel Friuli rurale, dove i bambini parlavano una lingua ostrogota che doveva essere cancellata. E così fu, tanto è vero che io in questo momento scrivo nella lingua dei colonizzatori, tra cui i miei nonni, e non in friulano. Un’illustrazione di quel libretto, che mi è rimasta impressa, mostrava un maestro che insegnava al contadino come proteggersi dalla pericolosità della falce fienaia mettendo semplicemente una guaina in legno lungo tutto il filo tagliente dell’attrezzo, perché si dava per scontato che il contadino fosse così stupido e primitivo da non arrivarci da solo.




Io non so quanto e se i contadini del tempo passato fossero stupidi e primitivi, tanto da aver bisogno di un maestro venuto dalla città che gli insegnasse i rudimenti delle misure di sicurezza sul lavoro, ma sicuramente la scena a cui ho assistito – e partecipato – sabato 17 dicembre a Ranohira mi fa venire il sospetto che la stupidità umana sia molto più diffusa di quanto non sembri. Un uomo veniva avanti trascinando una pecora per una delle zampe anteriori. La pecora era accompagnata da due agnelli, suoi figli. Su tre gambe, la pecora non riusciva a camminare e cadeva continuamente. Sono intervenuto dicendo: “Mila taly, mila taly”, c’è bisogno di una corda. L’uomo non sembrava infastidito dal mio intervento. Forse era solo un po’ imbarazzato. 


Può essere che fosse così povero da non avere un pezzo di corda da legare attorno al collo dell’animale, oppure che fosse così stupido da non aver pensato che se a un animale quadrupede togli la possibilità di camminare su quattro zampe, l’animale semplicemente non va avanti. Per fortuna, c’era lì un signore che prese dal bagagliaio della sua macchina un pezzo di corda, lo diede al contadino e, tenendo la pecora per una zampa posteriore, permise a quest’ultimo di legarla per il collo. Il resto della storia posso immaginarlo, anche se escludo che per la pecora fosse il suo ultimo trasferimento, vista la presenza dei due agnelli. Non credo che vengano macellate le pecore che stanno allattando, anche se dai malgasci mi aspetto di tutto.




E quindi, si dà il caso che un animalista in trasferta ai tropici, che in passato ha salvato pecore dai macelli e dai laboratori di università agrarie, ora insegni a un bifolco che il modo migliore per portare in giro le pecore è di legargli una corda al collo, come fanno tutti gli aguzzini che si rispettino con le loro vittime. Oppure, se la pecora non è troppo pesante, e se non sussistono “fady”, cioè tabù particolari, mettersi la pecora sulle spalle come fanno le statuine dei presepi o, meglio ancora, prenderla in braccio come farebbe un animalista. Se il governo fascista, nel giro di qualche anno, è riuscito a stravolgere l’assetto socio-culturale del Friuli campagnolo, i francesi con la loro dominazione in Madagascar o, peggio ancora, i missionari cristiani in tre secoli di missionariato, non hanno concluso granché, in fatto di maltrattamento animale. E questo perché missionari cristiani e francesi dominatori non consideravano importante insegnare ai malgasci il rispetto per gli animali. Esattamente com’è avvenuto e come avviene tuttora in Europa. L’antropocentrismo è una brutta bestia.




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