La prima storia risale a molti anni fa, forse addirittura
all’Ottocento. Un signore stava sognando di vivere gli ultimi
giorni della sua vita all’epoca della rivoluzione francese e
precisamente negli anni del Terrore intorno al 1793. Sognò di
trovarsi prigioniero insieme ad altri prigionieri, uomini e donne,
portato, a bordo di carri trainati da buoi, attraverso le vie di
Parigi (questa parte gli sembrò la più lunga), sottoposto al
pubblico ludibrio dalla marmaglia, vessato e fatto bersaglio di
verdura marcia, sporcizia e contumelie e alla fine trascinato giù
dal carro, fatto salire sul patibolo già lordo di sangue, disteso a
forza sull’asse della ghigliottina e posizionato a dovere. L’ultima
cosa che vide, nel sogno, fu la cesta sotto di sé dentro la quale
sarebbe finita la sua testa.
Si svegliò nel momento in cui un bastoncino della raggiera del
letto dalla parte della testa, che si era staccato, lo colpì sul
collo e allora realizzò non solo di non correre alcun pericolo, di
non aver nulla a che fare con la rivoluzione francese, di vivere nel
XIX secolo anziché nel XVIII, ma soprattutto che l’intero sogno,
compresa l’interminabile processione a bordo del carro, fu generato
da un istantaneo colpetto ricevuto proprio sul collo da un segmento
della testiera del letto. Fu a partire da quel sogno che la
neurologia capì che le cause dei sogni sono spesso di natura esterna
e vanno ricercate nelle stimolazioni che giungono al corpo dormiente.
Ma non solo: che il cervello elabora sogni apparentemente lunghissimi
in una frazione di secondo.
La seconda storia risale a ieri notte. Stavo dormendo con le
finestre aperte, come si usa ai tropici. Ho sognato che facevo parte
di una famiglia veneta benestante e che stavamo festeggiando la
partenza del patriarca, sullo stile petrarchesco del “movesi il
vecchierel canuto e stanco, dal dolce loco ove ha sua età fornita e
de la famigliola sbigottita che vede il caro padre venir manco”.
L’atmosfera era quindi tra il mesto e l’allegro, perché sapevamo
che non avremmo più visto il capofamiglia, ma che egli stesso ci
aveva ingiunto di stare allegri. Mentre per il patriarca di Petrarca
si sa che la meta era un pellegrinaggio a Roma, per il mio “vecjo”
non è chiaro dove fosse diretto, ma per non correre il rischio di
incidenti a bordo della FIAT 500, ovviamente vecchio modello, con cui
doveva compiere il viaggio, il nostro aveva chiesto cha alla guida ci
fosse il suo figlio prediletto. Noi, circa un centinaio di persone
ammutolite e poco in vena di scherzi, eravamo per lo più con il
bicchiere di prosecco in mano, in una sorta di brindisi d’addio,
quando il figlio, in filiale obbedienza, si fece largo tra la folla e
i tavoli per raggiungere il genitore ed esaudire il suo ultimo
desiderio. In tutta la sala, che probabilmente era un rustico
ristorante, aleggiava il tipico odore della polenta bruciacchiata,
come accadeva nei tempi andati nelle case contadine. Il padrone di
casa, infatti, ci teneva alle tradizioni della patria veneta.
Fu a quel punto che lentamente, molto lentamente, svegliando prima
il naso che il resto del cervello, realizzai che non di croste di
polenta si trattava, ma della diossina che il guardiano notturno
neoassunto stava producendo bruciando i rifiuti nel cortile. Se
nessuno glielo dice, che si liberano veleni tossici nel bruciare
carta insieme alla plastica, è parzialmente giustificato dalla sua
ignoranza. E’ così che si estingue la razza umana: per l’adozione
di comportamenti contro natura. L’olezzo dell’immondizia
semicombusta era penetrato dentro le mie nari dormienti, ricordandomi
l’odore della polenta fatta in casa da mia madre e collocandomi
stranamente in una famiglia veneta di cui non mi sento far parte:
forse per cultura sì, ma per lingua decisamente no. Nelle prossime
sere, consultandomi con Tina, cercherò di fargli capire che quello
che a suo modo di vedere doveva essere uno dei compiti di guardiano
zelante, è stato in realtà poco accetto da parte del suo datore di
lavoro. Le abitudini, si sa, sono dure a morire. I malgasci non
impareranno mai e vedranno ogni stranezza da parte dei vazaha come un
tentativo di intaccare le loro tradizioni. Al di là dell’acre
odore che era entrato in camera attraverso le finestre aperte, una
cosa mi dispiace ancora di più: mi dispiace per il prosecco. Peccato
sia stato solo un sogno!
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