martedì 6 dicembre 2016

Due storie oniriche, entrambe vere


La prima storia risale a molti anni fa, forse addirittura all’Ottocento. Un signore stava sognando di vivere gli ultimi giorni della sua vita all’epoca della rivoluzione francese e precisamente negli anni del Terrore intorno al 1793. Sognò di trovarsi prigioniero insieme ad altri prigionieri, uomini e donne, portato, a bordo di carri trainati da buoi, attraverso le vie di Parigi (questa parte gli sembrò la più lunga), sottoposto al pubblico ludibrio dalla marmaglia, vessato e fatto bersaglio di verdura marcia, sporcizia e contumelie e alla fine trascinato giù dal carro, fatto salire sul patibolo già lordo di sangue, disteso a forza sull’asse della ghigliottina e posizionato a dovere. L’ultima cosa che vide, nel sogno, fu la cesta sotto di sé dentro la quale sarebbe finita la sua testa.




Si svegliò nel momento in cui un bastoncino della raggiera del letto dalla parte della testa, che si era staccato, lo colpì sul collo e allora realizzò non solo di non correre alcun pericolo, di non aver nulla a che fare con la rivoluzione francese, di vivere nel XIX secolo anziché nel XVIII, ma soprattutto che l’intero sogno, compresa l’interminabile processione a bordo del carro, fu generato da un istantaneo colpetto ricevuto proprio sul collo da un segmento della testiera del letto. Fu a partire da quel sogno che la neurologia capì che le cause dei sogni sono spesso di natura esterna e vanno ricercate nelle stimolazioni che giungono al corpo dormiente. Ma non solo: che il cervello elabora sogni apparentemente lunghissimi in una frazione di secondo.


La seconda storia risale a ieri notte. Stavo dormendo con le finestre aperte, come si usa ai tropici. Ho sognato che facevo parte di una famiglia veneta benestante e che stavamo festeggiando la partenza del patriarca, sullo stile petrarchesco del “movesi il vecchierel canuto e stanco, dal dolce loco ove ha sua età fornita e de la famigliola sbigottita che vede il caro padre venir manco”. L’atmosfera era quindi tra il mesto e l’allegro, perché sapevamo che non avremmo più visto il capofamiglia, ma che egli stesso ci aveva ingiunto di stare allegri. Mentre per il patriarca di Petrarca si sa che la meta era un pellegrinaggio a Roma, per il mio “vecjo” non è chiaro dove fosse diretto, ma per non correre il rischio di incidenti a bordo della FIAT 500, ovviamente vecchio modello, con cui doveva compiere il viaggio, il nostro aveva chiesto cha alla guida ci fosse il suo figlio prediletto. Noi, circa un centinaio di persone ammutolite e poco in vena di scherzi, eravamo per lo più con il bicchiere di prosecco in mano, in una sorta di brindisi d’addio, quando il figlio, in filiale obbedienza, si fece largo tra la folla e i tavoli per raggiungere il genitore ed esaudire il suo ultimo desiderio. In tutta la sala, che probabilmente era un rustico ristorante, aleggiava il tipico odore della polenta bruciacchiata, come accadeva nei tempi andati nelle case contadine. Il padrone di casa, infatti, ci teneva alle tradizioni della patria veneta.





Fu a quel punto che lentamente, molto lentamente, svegliando prima il naso che il resto del cervello, realizzai che non di croste di polenta si trattava, ma della diossina che il guardiano notturno neoassunto stava producendo bruciando i rifiuti nel cortile. Se nessuno glielo dice, che si liberano veleni tossici nel bruciare carta insieme alla plastica, è parzialmente giustificato dalla sua ignoranza. E’ così che si estingue la razza umana: per l’adozione di comportamenti contro natura. L’olezzo dell’immondizia semicombusta era penetrato dentro le mie nari dormienti, ricordandomi l’odore della polenta fatta in casa da mia madre e collocandomi stranamente in una famiglia veneta di cui non mi sento far parte: forse per cultura sì, ma per lingua decisamente no. Nelle prossime sere, consultandomi con Tina, cercherò di fargli capire che quello che a suo modo di vedere doveva essere uno dei compiti di guardiano zelante, è stato in realtà poco accetto da parte del suo datore di lavoro. Le abitudini, si sa, sono dure a morire. I malgasci non impareranno mai e vedranno ogni stranezza da parte dei vazaha come un tentativo di intaccare le loro tradizioni. Al di là dell’acre odore che era entrato in camera attraverso le finestre aperte, una cosa mi dispiace ancora di più: mi dispiace per il prosecco. Peccato sia stato solo un sogno!  


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