Nel
2050 un terzo della popolazione italiana sarà composta da immigrati. Stranieri
sbarcati nel Belpaese per lavorare e figli e nipoti dei migranti che in questi
giorni il Mediterraneo sta rovesciando sulle nostre coste. Nello studio
«Replacement Migration: is it a solution to declining and ageing populations?»,
redatto dal Dipartimento degli Affari sociali ed economici dell’Onu vengono
analizzati i movimenti migratori a partire dal 1995 e, attraverso modelli
matematici, vengono prospettati diversi scenari che disegnano per l’Italia la
“necessità” di far entrare tra i 35.088.000 e i 119.684.000 di immigrati per
“rimpiazzare” i lavoratori italiani. Visto che tra 36 anni gli over 65 saranno
il 35% della popolazione e presupposto che il tasso di natalità per donna resti
fermo a 1,2 bambini (negli Anni Cinquanta la media era 2,3). Se
c’è chi chiede se per far fronte ad un declino economico e sociale inevitabile
non sarebbe meglio promuovere politiche a favore delle famiglie per supportare
chi vuole far figli, dall’altra le Nazioni Unite stanno studiando come
“sostituire” ai lavoratori italiani, francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli
quelli provenienti dal Terzo Mondo per non far crollare l’economia e il sistema
pensionistico.
Nel
2050, secondo il dossier, saremo in 41.197.000, solo 194mila in più di quanti
eravano 64 anni fa. Il livello demografico più alto dal dopoguerra l’Italia
l’ha toccato nel 1995, con 57.338.000 residenti registrati. Da allora una lenta
e progressiva discesa, accompagnata dal calo della natalità e dal costante
invecchiamento della popolazione. Fenomeno che condividiamo con quasi tutti i
paesi europei. Ad esempio la Francia, che nel 1901 vedeva nascere per ogni
matrimonio 7,8 figli.
Mezzo
secolo dopo era già scesa a 2,7 per poi attestarsi a 1.7. In Germania per ogni
coppia ci sono 1,30 bambini e in Gran Bretagna 1,78. Nell’Unione Europea la
media è di 1,5 nascite per ogni donna. Troppo poco per mantenere gli attuali
livelli di sviluppo. Meno nascite, alla lunga, significano meno lavoratori
attivi che, quindi, non ce la faranno a sostenere con i contributi il peso delle
pensioni. Come evitare che la «macchina» s’inceppi? Che milioni di anziani si
ritrovino senza indennità? Come mantenere stabili le entrate per i tributi da
tradurre in welfare, soldi da spendere per sanità, trasporti e servizi
pubblici? Le soluzioni potrebbero essere molte.
Le Nazioni Unite intravedono
come via principale quello di «rimpiazzare» l’Europa e l’Occidente che invecchia con una massiccia iniezione di
immigrati da Asia, Africa e Oceania. Lo
studio prende in considerazione quelli in età lavorativa, tra i 15 e i 64 anni,
che dopo lo sbarco molto probabilmente si stabiliranno dalle Alpi alla Sicilia.
Vivranno con noi, si sposeranno, faranno figli e nipoti. Così che, anno dopo
anno, l’Italia degli italiani si trasformerà in un «melting pot», un’insieme di
razze, culture, religioni dove tra quarant’anni a stento saremo ancora
maggioranza.
Ventiseimilioni
di immigrati e i loro discendenti risiederanno a Roma, Milano, Napoli e nei
mille Comuni della Penisola nel 2050. Ora sono 4,4 milioni contro i 7,8
presenti in Germania. Il primo ministro inglese David Cameron ha annunciato
misure restrittive per gli stranieri in materia di accesso ai sussidi di
disoccupazione e alle liste d’attesa per le case popolari. Londra nello
scenario più «spinto» dovrà farsi carico di altri 59 milioni di migranti nei
prossimi 36 anni, per sostituire i lavoratori che andranno in pensione e quelli
che moriranno. Dovranno sostituire pure i connazionali che verranno seppelliti
all’ombra dell’Union Jack, che di fatto sono nati nel Regno Unito e lì
resteranno. Così accadrà in Italia e nei 27 Stati dell’Ue.
«In
Francia, Germania e Gran Bretagna – scrive il Dipartimento degli Affari sociali
ed economici dell’Onu – il numero di immigrati necessari per mantenere costante
sia la popolazione totale che la popolazione in età lavorativa varia
irregolarmente nel tempo a causa di strutture di età specifiche. Questi numeri
sono paragonabili al numero di immigrati ricevuto nel corso degli ultimi dieci
anni. In Germania e in Italia, invece, lo scenario porterebbe tra il 30 e il 40
per cento la popolazione popolazione immigrata nel 2050, che è molto più alta
di quella attuale». L’immigrazione, come testimoniano i dati della Guardia
Costiera e della Marina Militare che hanno soccorso 150mila stranieri con
l’Operazione Mare Nostrum, non segue modelli stabili di crescita ma
esponenziali.
Di
tutti gli sbarchi segnalati negli ultimi vent’anni nel Mediterraneo il 45% è
avvenuto nel 2014. E il 48% di chi non ce l’ha fatta, è morto tra le onde
quest’anno. Chi è riuscito ad entrare in Italia, dopo mesi, anni di
clandestinità pare riesca a trovare lavoro più facilmente degli italiani. Il
60,1% degli stranieri presenti nel Belpaese risulta occupato contro il 59,5% di
lombardi, veneti, romagnoli, pugliesi e piemontesi. L’arrivo di nuovi migranti
da Tunisia, Egitto, Siria, Cina, Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Somalia,
Marocco propugnato dalle Nazioni Unite potrebbe essere interpretato da più di
qualcuno come uno schiaffo a quel 40,5% di italiani, nella stragrande
maggioranza giovani, che non ha lavoro. Milioni di «invisibili» di cui non
viene fatta menzione nel dossier. Come se la disoccupazione non esistesse.
L’obiettivo
che sembra preoccupare gli statisti che nel Palazzo di Vetro a New York
disegnano scenari appare esclusivamente quello di far raggiungere all’Europa,
sempre nel 2050, il rapporto di due lavoratori per ogni pensionato. Come
modello vengono indicati gli Usa dove il rapporto è 2,8 occupati per ogni cittadino
«a riposo». Nell’Ue la media è di 1,45. «L’immigrazione di rimpiazzo è tra le
possibili politiche di risposta da considerare», insiste l’Onu, «per mantenere
adeguati livelli di crescita». Schede zeppe di dati, analisi, grafici, tabelle.
C’è di tutto nel dossier. Nemmeno una parola però, neppure un cenno, agli
italiani e agli europei che ora sono senza lavoro e ci resteranno con l’arrivo
di milioni di stranieri. Come se la crisi non esistesse. L’immigrazione di
massa è destinata a rivoluzionare la realtà sociale, a (s)travolgere l’Europa
che conosciamo, ma anche di questo non c’è traccia. Solo numeri e aride
statistiche. Basta che i conti tornino.
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