venerdì 7 novembre 2014

Ottantamila anni fa, ieri


“La guerra del fuoco”, un film franco-canadese di Jean Jacques Annaud, del 1981, ci offre una chiave di lettura degli avvenimenti italiani degli ultimi giorni. E’ la storia di un clan di trogloditi che nelle scene iniziali viene attaccato, dopo il riposo notturno all’interno di una caverna, da un branco di esseri scimmieschi con il corpo interamente ricoperto di peli e quindi privi di indumenti. Alla fine della battaglia a colpi di sassi e bastoni, gli esseri scimmieschi hanno la meglio e i superstiti del clan protagonista devono svignarsela. Agli occhi di un reparto di poliziotti in assetto antisommossa, gli operai che pochi giorni fa volevano protestare di fronte al palazzo dove c’era Renzi, sono come esseri scimmieschi con i quali è lecito e anzi doveroso ingaggiare il corpo a corpo a colpi di manganello. Nel film gli scimmioni hanno la meglio, nella realtà, in quello come in tutti gli altri casi in cui è presente la polizia, ha la meglio quest’ultima e gli operai-scimmie finiscono in ospedale pieni di contusioni.


Il motivo del contendere, ovvero il casus belli, nel film è il possesso del fuoco, da qui il titolo del film. Il motivo del contendere tra poliziotti tecnologici e operai primitivi è la custodia dell’energia derivante dal lavoro in fabbrica, che gli scimmioni operai vedono messo in pericolo. La minaccia di perdita del fuoco energetico rende gli operai furibondi e aggressivi, mentre il clan opposto, i poliziotti, avendo il fuoco-stipendio assicurato, lo difendono dagli attacchi di chi non ce l’ha e vorrebbe averlo. O riaverlo, come nel caso degli operai che l’hanno perduto.

Nel film, dopo la batosta ricevuta dagli esseri scimmieschi, i sopravvissuti vanno alla ricerca di altri tizzoni ardenti, da sostituire con quelli lasciati nella caverna. Il facente funzioni di capo branco ordina al vero protagonista della storia, un troglodita dai capelli rossi, di partire con due compagni alla ricerca dell’idolo fiammeggiante. Il Rosso, così lo chiamerò, se ne va riluttante, non senza che una fazione della stessa banda sopravvissuta rivendichi il privilegio di svolgere il sacro compito. Questa banda di trogloditi, dai capelli neri, va tenuta presente perché la incontreremo fra poco e potrebbe simboleggiare il fenomeno delle divisioni all’interno di uno stesso clan, magari sulla base di differenze infinitesimali come la diversa colorazione dei capelli. Questo si nota non solo all’interno dei partiti politici, in primis quelli di Sinistra, con la perenne proliferazione di nuove correnti, ma anche all’interno della società, laddove il clan dai capelli neri potrebbe essere paragonato ai poliziotti stessi, che si sentono diversi dalla comune marmaglia sulla base di differenze infinitesimali come la divisa che viene loro fatta indossare.

I tre membri della decimata tribù vagano alla ricerca del fuoco, lasciando il resto del clan in un luogo preciso, in attesa. Lungo il cammino vedono da lontano del fumo levarsi dalla selva. Vi si dirigono. Trovano un mucchio di cenere ancora calda, ma gli artefici di quel fuoco non ci sono. Tra i resti del falò rinvengono pezzi di carne abbrustolita e ne approfittano, finché uno dei tre non estrae dalla cenere un teschio umano, per cui si sentono obbligati a cessare l’infame banchetto, comportamento che denota una superiore civilizzazione.

Quando infatti più tardi si avvicinano al nuovo accampamento dei cannibali, trovano due prigionieri legati a un albero, in attesa di essere macellati. Allora, i tre sopraggiunti mettono astutamente in atto uno stratagemma. Due di loro attirano l’attenzione del clan antropofago e si fanno inseguire dalla maggioranza dei primitivi. Il terzo ruba un paio di rami infuocati, che è quello che gli serviva. Nel frattempo, uno dei due prigionieri, una ragazza di una tribù ancora diversa, riesce a liberarsi e finirà per diventare il deuteragonista del film. Pur in minoranza rispetto ai musulmani, gli occidentali riescono con l’astuzia a rubare il fuoco-petrolio ai meno civilizzati arabi. Lo fanno con le operazioni “false flag”, che mostrano agli occhi del mondo una realtà non vera, esattamente come i due compari che si sono fatti inseguire per permettere al terzo di entrare nell’accampamento. Grazie all’inganno, gli occidentali invadono Iraq, Afghanistan, Libia, Siria e ovunque vi siano giacimenti di petrolio-fuoco.

Gli occidentali vincono e anche nel film, il Rosso, a parte un morso sui genitali, riesce a svignarsela con i due rami incandescenti. La ragazza, non più prigioniera, si aggrega ai tre astuti ladri di fuoco. Il Rosso e la ragazza finiranno per fare coppia, a testimonianza che l’amore vince sulla violenza. Fate l’amore, non fate la guerra, dicevano i pacifisti negli anni Sessanta, cioè ottantamila anni dopo. Molte donne arabe, una volta assaggiato il sapore dell’Occidente, vorrebbero associarvisi, adottandone usi e costumi, ma i loro possessivi maschi non sono d’accordo.

I tre uomini e la ragazza ora cercano di ritornare nel luogo dove è rimasto il resto del clan, ma gli antropofagi li inseguono. Stanno per soccombere a causa della sproporzione numerica, quando un branco di mammut si presenta sulla scena. I quattro si fanno prendere dal panico, ma il Rosso, che deve aver avuto un QI superiore agli altri, ha un’idea azzardata. Prende un ciuffo d’erba e si avvicina al capobranco dei mammut. Il pachiderma accetta l’offerta e nasce il primo sentimento religioso dell’uomo verso la potenza della natura, che nei millenni successivi prenderà molte forme, anche nei confronti dei sostituti della natura come i prodotti della tecnologia umana. L’I-Pod come idolo.

I quattro pellegrini, capeggiati dal Rosso e muniti di sacro fuoco scoppiettante, si lasciano alle spalle i brutali vendicatori antropofagi e in una radura del bosco s’imbattono nei tre o quattro dissidenti del clan. Ingaggiano una battaglia con gli ex membri della tribù e li uccidono. Anche i fuoriusciti volevano il tabernacolo d’ossa che fungeva da custodia del fuoco. Muoiono trafitti da frecce, giacché essi avevano solo bastoni: la lotta per l’energia richiede vittime e se non c’è tecnologia militare a supporto, non resta che la sconfitta. Migliaia di arabi sono morti in Iraq e Afghanistan sotto il tiro delle armi americane. Che Yankee e Talebani siano tutti Homo sapiens poco importa, giacché basta contrassegnarli con divise differenti per renderli nemici. Anche il colore del pelo è differenze: biondo per gli Yankee e moro per i Talebani. L’inganno visivo funziona.

La ragazza scappa, sull’onda emotiva del richiamo della sua tribù. Il Rosso non si dà pace e va alla sua ricerca. Finisce nelle sabbie mobili che circondano il villaggio della ragazza, appartenente a una tribù che ama pitturarsi il corpo. Il Rosso sta quasi per morire affogato nella pozza traditrice, ma viene salvato e dileggiato come diverso e anche come un diverso che era in difficoltà. Stefano Cucchi era un diverso perché si drogava e la tribù dei poliziotti lo ha prelevato dandolo in consegna ai medici dell’ospedale. I quali lo hanno salvato solo perché i loro colleghi potessero trastullarsi ancora un po’. Nel film il Rosso viene alla fine trattato come un ospite, dopo averlo dileggiato un po’; nella realtà Cucchi ci lascia le penne, cosa che non era prevista. Che l’ostaggio muoia, se viene strapazzato troppo senza tener conto del suo stato fisico, può succedere. Nel film gli altri due compari vanno a recuperare l’innamorato perso e lo riportano alla realtà del compito assegnato loro; nella realtà, nessuno è riuscito a salvare Stefano Cucchi dalle grinfie della tribù dei poliziotti. Nemmeno la sua coraggiosa sorella.

Dunque, abbiamo in totale quattro clan: il primo che deteneva il fuoco e che schifava l’antropofagia, gli esseri scimmieschi che miravano più alla conquista delle femmine che a quella del fuoco, i cannibali dalle voci gutturali, capaci di dominare il fuoco ma che si fanno intimorire dai mammut e i civilizzati pitturati che vivevano in capanne, che danno ospitalità ai tre vagabondi e lasciano che una loro ragazza si unisca al Rosso. Per la verità, era stata la ragazza pitturata a sceglierlo, forse in virtù della superiorità genetica e dell’intelligenza, giacché l’istinto glielo consigliava e alla sua tribù non importava granché che lei se ne andasse.

Ottantamila anni dopo, fra tutte le tribù di cui può essere costituita la nostra società, solo quella degli sbirri manifesta genuini connotati di arcaicità, ma è comprensibile giacché viene addestrata a coltivare proprio quelli, utili quando deve affrontare le altre tribù. Frasi come “Sparagli in faccia” o “Centralo, quello, appena esce”, possono nascere solo nella mente di trogloditi senz’anima e senza coscienza, ovvero primitivi che hanno rinunciato a ottantamila anni di civilizzazione. Lo hanno detto i poliziotti che ora sono sotto processo, quando affrontavano i No-Tav della Val di Susa. Nessuno di loro, ben difesi dalla supertribù chiamata Stato, ha mai visto il film “La guerra del fuoco”. Nessuno di loro leggerà questo mio articolo.  

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