“La
guerra del fuoco”, un film franco-canadese di Jean Jacques Annaud, del 1981, ci
offre una chiave di lettura degli avvenimenti italiani degli ultimi giorni. E’
la storia di un clan di trogloditi che nelle scene iniziali viene attaccato,
dopo il riposo notturno all’interno di una caverna, da un branco di esseri
scimmieschi con il corpo interamente ricoperto di peli e quindi privi di
indumenti. Alla fine della battaglia a colpi di sassi e bastoni, gli esseri
scimmieschi hanno la meglio e i superstiti del clan protagonista devono
svignarsela. Agli occhi di un reparto di poliziotti in assetto antisommossa,
gli operai che pochi giorni fa volevano protestare di fronte al palazzo dove
c’era Renzi, sono come esseri scimmieschi con i quali è lecito e anzi doveroso
ingaggiare il corpo a corpo a colpi di manganello. Nel film gli scimmioni hanno
la meglio, nella realtà, in quello come in tutti gli altri casi in cui è
presente la polizia, ha la meglio quest’ultima e gli operai-scimmie finiscono
in ospedale pieni di contusioni.
Il
motivo del contendere, ovvero il casus belli, nel film è il possesso del fuoco, da qui il titolo
del film. Il motivo del contendere tra poliziotti tecnologici e operai
primitivi è la custodia dell’energia derivante dal lavoro in fabbrica, che gli
scimmioni operai vedono messo in pericolo. La minaccia di perdita del fuoco
energetico rende gli operai furibondi e aggressivi, mentre il clan opposto, i
poliziotti, avendo il fuoco-stipendio assicurato, lo difendono dagli attacchi
di chi non ce l’ha e vorrebbe averlo. O riaverlo, come nel caso degli operai
che l’hanno perduto.
Nel
film, dopo la batosta ricevuta dagli esseri scimmieschi, i sopravvissuti vanno
alla ricerca di altri tizzoni ardenti, da sostituire con quelli lasciati nella
caverna. Il facente funzioni di capo branco ordina al vero protagonista della
storia, un troglodita dai capelli rossi, di partire con due compagni alla
ricerca dell’idolo fiammeggiante. Il Rosso, così lo chiamerò, se ne va
riluttante, non senza che una fazione della stessa banda sopravvissuta
rivendichi il privilegio di svolgere il sacro compito. Questa banda di
trogloditi, dai capelli neri, va tenuta presente perché la incontreremo fra
poco e potrebbe simboleggiare il fenomeno delle divisioni all’interno di uno
stesso clan, magari sulla base di differenze infinitesimali come la diversa
colorazione dei capelli. Questo si nota non solo all’interno dei partiti
politici, in primis quelli di
Sinistra, con la perenne proliferazione di nuove correnti, ma anche all’interno
della società, laddove il clan dai capelli neri potrebbe essere paragonato ai
poliziotti stessi, che si sentono diversi dalla comune marmaglia sulla base di
differenze infinitesimali come la divisa che viene loro fatta indossare.
I
tre membri della decimata tribù vagano alla ricerca del fuoco, lasciando il
resto del clan in un luogo preciso, in attesa. Lungo il cammino vedono da
lontano del fumo levarsi dalla selva. Vi si dirigono. Trovano un mucchio di
cenere ancora calda, ma gli artefici di quel fuoco non ci sono. Tra i resti del
falò rinvengono pezzi di carne abbrustolita e ne approfittano, finché uno dei
tre non estrae dalla cenere un teschio umano, per cui si sentono obbligati a cessare l’infame
banchetto, comportamento che denota una superiore civilizzazione.
Quando infatti più tardi si avvicinano al nuovo accampamento dei cannibali, trovano due prigionieri legati a un albero, in attesa di essere macellati. Allora, i tre sopraggiunti mettono astutamente in atto uno stratagemma. Due di loro attirano l’attenzione del clan antropofago e si fanno inseguire dalla maggioranza dei primitivi. Il terzo ruba un paio di rami infuocati, che è quello che gli serviva. Nel frattempo, uno dei due prigionieri, una ragazza di una tribù ancora diversa, riesce a liberarsi e finirà per diventare il deuteragonista del film. Pur in minoranza rispetto ai musulmani, gli occidentali riescono con l’astuzia a rubare il fuoco-petrolio ai meno civilizzati arabi. Lo fanno con le operazioni “false flag”, che mostrano agli occhi del mondo una realtà non vera, esattamente come i due compari che si sono fatti inseguire per permettere al terzo di entrare nell’accampamento. Grazie all’inganno, gli occidentali invadono Iraq, Afghanistan, Libia, Siria e ovunque vi siano giacimenti di petrolio-fuoco.
Quando infatti più tardi si avvicinano al nuovo accampamento dei cannibali, trovano due prigionieri legati a un albero, in attesa di essere macellati. Allora, i tre sopraggiunti mettono astutamente in atto uno stratagemma. Due di loro attirano l’attenzione del clan antropofago e si fanno inseguire dalla maggioranza dei primitivi. Il terzo ruba un paio di rami infuocati, che è quello che gli serviva. Nel frattempo, uno dei due prigionieri, una ragazza di una tribù ancora diversa, riesce a liberarsi e finirà per diventare il deuteragonista del film. Pur in minoranza rispetto ai musulmani, gli occidentali riescono con l’astuzia a rubare il fuoco-petrolio ai meno civilizzati arabi. Lo fanno con le operazioni “false flag”, che mostrano agli occhi del mondo una realtà non vera, esattamente come i due compari che si sono fatti inseguire per permettere al terzo di entrare nell’accampamento. Grazie all’inganno, gli occidentali invadono Iraq, Afghanistan, Libia, Siria e ovunque vi siano giacimenti di petrolio-fuoco.
Gli
occidentali vincono e anche nel film, il Rosso, a parte un morso sui genitali,
riesce a svignarsela con i due rami incandescenti. La ragazza, non più
prigioniera, si aggrega ai tre astuti ladri di fuoco. Il Rosso e la ragazza
finiranno per fare coppia, a testimonianza che l’amore vince sulla violenza.
Fate l’amore, non fate la guerra, dicevano i pacifisti negli anni Sessanta,
cioè ottantamila anni dopo. Molte donne arabe, una volta assaggiato il sapore
dell’Occidente, vorrebbero associarvisi, adottandone usi e costumi, ma i loro
possessivi maschi non sono d’accordo.
I
tre uomini e la ragazza ora cercano di ritornare nel luogo dove è rimasto il
resto del clan, ma gli antropofagi li inseguono. Stanno per soccombere a causa
della sproporzione numerica, quando un branco di mammut si presenta sulla
scena. I quattro si fanno prendere dal panico, ma il Rosso, che deve aver avuto
un QI superiore agli altri, ha un’idea azzardata. Prende un ciuffo d’erba e si
avvicina al capobranco dei mammut. Il pachiderma accetta l’offerta e nasce il
primo sentimento religioso dell’uomo verso la potenza della natura, che nei
millenni successivi prenderà molte forme, anche nei confronti dei sostituti
della natura come i prodotti della tecnologia umana. L’I-Pod come idolo.
I
quattro pellegrini, capeggiati dal Rosso e muniti di sacro fuoco scoppiettante,
si lasciano alle spalle i brutali vendicatori antropofagi e in una radura del
bosco s’imbattono nei tre o quattro dissidenti del clan. Ingaggiano una
battaglia con gli ex membri della tribù e li uccidono. Anche i fuoriusciti volevano il
tabernacolo d’ossa che fungeva da custodia del fuoco. Muoiono trafitti da
frecce, giacché essi avevano solo bastoni: la lotta per l’energia richiede
vittime e se non c’è tecnologia militare a supporto, non resta che la
sconfitta. Migliaia di arabi sono morti in Iraq e Afghanistan sotto il tiro
delle armi americane. Che Yankee e Talebani siano tutti Homo sapiens poco
importa, giacché basta contrassegnarli con divise differenti per renderli nemici.
Anche il colore del pelo è differenze: biondo per gli Yankee e moro per i
Talebani. L’inganno visivo funziona.
La
ragazza scappa, sull’onda emotiva del richiamo della sua tribù. Il Rosso non si
dà pace e va alla sua ricerca. Finisce nelle sabbie mobili che circondano il
villaggio della ragazza, appartenente a una tribù che ama pitturarsi il corpo.
Il Rosso sta quasi per morire affogato nella pozza traditrice, ma viene salvato
e dileggiato come diverso e anche come un diverso che era in difficoltà. Stefano
Cucchi era un diverso perché si drogava e la tribù dei poliziotti lo ha
prelevato dandolo in consegna ai medici dell’ospedale. I quali lo hanno salvato
solo perché i loro colleghi potessero trastullarsi ancora un po’. Nel film il
Rosso viene alla fine trattato come un ospite, dopo averlo dileggiato un po’;
nella realtà Cucchi ci lascia le penne, cosa che non era prevista. Che
l’ostaggio muoia, se viene strapazzato troppo senza tener conto del suo stato
fisico, può succedere. Nel film gli altri due compari vanno a recuperare
l’innamorato perso e lo riportano alla realtà del compito assegnato loro; nella
realtà, nessuno è riuscito a salvare Stefano Cucchi dalle grinfie della tribù
dei poliziotti. Nemmeno la sua coraggiosa sorella.
Dunque,
abbiamo in totale quattro clan: il primo che deteneva il fuoco e che schifava
l’antropofagia, gli esseri scimmieschi che miravano più alla conquista delle
femmine che a quella del fuoco, i cannibali dalle voci gutturali, capaci di
dominare il fuoco ma che si fanno intimorire dai mammut e i civilizzati
pitturati che vivevano in capanne, che danno ospitalità ai tre vagabondi e
lasciano che una loro ragazza si unisca al Rosso. Per la verità, era stata la
ragazza pitturata a sceglierlo, forse in virtù della superiorità genetica e
dell’intelligenza, giacché l’istinto glielo consigliava e alla sua tribù non
importava granché che lei se ne andasse.
Ottantamila
anni dopo, fra tutte le tribù di cui può essere costituita la nostra società,
solo quella degli sbirri manifesta genuini connotati di arcaicità, ma è
comprensibile giacché viene addestrata a coltivare proprio quelli, utili quando
deve affrontare le altre tribù. Frasi come “Sparagli in faccia” o “Centralo, quello,
appena esce”, possono nascere solo nella mente di trogloditi
senz’anima e senza coscienza, ovvero primitivi che hanno rinunciato a
ottantamila anni di civilizzazione. Lo hanno detto i poliziotti che ora sono sotto processo, quando affrontavano i No-Tav della Val di Susa. Nessuno di loro, ben
difesi dalla supertribù chiamata Stato, ha mai visto il film “La guerra del
fuoco”. Nessuno di loro leggerà questo mio articolo.
ti ho scritto su facebook. Ciao, Paolo
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