martedì 7 marzo 2017

Edonismi tropicali


Mia moglie dice che sto diventando un alcolista. Forse che aprire una bottiglia di vino bianco alle nove e mezza del mattino significa essere un alcolista? Tina ride e mi dice che sto diventando come i francesi, che alle sette, appena svegli, bevono il Pastis. Io le rispondo che è il Madagascar che fa questi effetti e che in Francia sono dei bravi e onesti e morigerati padri di famiglia. Anch’io, in Friuli, terra dalle inclinazioni enologiche, non è che mi apro, da solo, una bottiglia di vino bianco. Né al mattino, né alla sera. Quando ce l’ho in frigo, è solo per gli ospiti, quelle rarissime volte che vengono a trovarmi. Qui in Madagascar sono libero. Cioè, mi sento libero. E’ questo, a detta di molti italiani, il motivo per cui si viene qui. E si torna nonostante tutte le controindicazioni: la libertà. Proprio ieri ho voluto assaggiare ancora la birra Libertalia, che si rifà a quella società di bucanieri che nel Settecento aveva fatto di Diego Suarez, nella punta nord dell’isola, la sua sede fissa, lontana da ogni flottiglia di sbirri che le varie monarchie europee avevano messo sulle loro tracce. Si facevano chiamare i Fratelli della Costa, ma non credo che bevessero la stessa birra che ho bevuto io ieri.



Stamattina mi sono aperto la bottiglia che avevo in frigo. Ho voluto festeggiare la vita, la vita che sto vivendo qui, ancora per poco, e il senso euforico di libertà che provo anche solo stappando una bottiglia. Non è Champagne, ma il vino di Fianarantsoa prodotto da un vignaiolo cinese, ma devo accontentarmi. Mi rende felice, anche se solo per pochi minuti. Ho già notato che se voglio uscire di casa e affrontare la città convulsa e chiassosa, un bicchiere di vino mi aiuta, mi rende ben disposto verso questi poveri malgasci che lavorano come formiche per sopravvivere. Non provo disprezzo verso questa gente, se non quando si comportano crudelmente con gli animali, ma molta pena, e molta solidarietà. Se potessi, li aiuterei tutti. Se mi eleggessero loro presidente, metterei a posto molte cose in questo paese del Terzo Mondo, fino a quando i militari non mi farebbero fuori. Ma almeno ci ho provato, cazzo!





Intanto, da una frustrazione all’altra, da un ideale all’altro, da una velleità all’altra, mi stappo una bottiglia, la bevo centellinandola con bocconcini prelibati di “Assard Manga”, straordinari, fantastici, buonissimi, pieni zeppi di spezie, fatti da un Karana che ha un negozio in centro olezzante di profumi e di misteri. Degustando, per attutire l’impatto dell’alcol sullo stomaco, anche un po’ dei classici “kakapigeon”, semplice e popolare snack a base di farina fritta. Se vi state chiedendo cosa c’entra la paglietta di ferro per lavare le pentole, vi rispondo: non c’entra niente. E’ che non avevo voglia di alzarmi per rimetterla in cucina. Un augurio a tutti voi. Vi voglio bene. Siate felici, come lo sono io, ancora per poco. Mangiate “Assard Manga”!

2 commenti:

  1. Ma scusa Roberto...se lì sei felice...perché ritorni? Tu ricerchi il "pif" e ritorno al pil?
    Mandi 😉

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    1. Quando mi diventi enigmatico, non mi piaci più. Ti preferisco poetico.

      E poi, io sono felice anche sull'aereo, sia durante durante il viaggio di andata che quello di ritorno.


      E' un eterno presente. Cambia solo la scenografia.

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