Stavo cercando la notizia di un utente di Facebook che ha avuto un
anno di carcere perché aveva scritto qualcosa di sbagliato e un
altro utente lo aveva denunciato alla polizia. Tina non ha saputo
dirmi cosa aveva scritto di tanto grave da meritarsi una punizione
così severa, per cui siamo andati alla Libreria Fandrosoana, in
centro a Tulear, sperando di beccare quella specifica notizia, dal
momento che i giornali arrivano in questa città del sud con un
ritardo che va dai due ai cinque giorni, rispetto alle notizie che
escono sui telegiornali. E invece, di cronaca nera c’era solo la
notizia di una donna di Mandrosoa, vicino a Ivato che, dopo aver
litigato con suo marito, ha abortito il feto che portava in grembo.
Come abbia fatto ad abortire il giornalista non lo dice, ma se la
polizia non arrivava in tempo, la gente dei dintorni, dopo aver
scoperto il macabro fardello sanguinante, l’avrebbe linciata. Anzi,
una turba di persone agitate ha seguito la polizia fin davanti al
commissariato, reclamando l’assassina per infliggerle il meritato
castigo. In Madagascar non c’è la pena di morte, ma è come se ci
fosse, quando la folla impazzisce e intende farsi giustizia da sé.
L’articolo si conclude con la polizia che fa uscire la donna dalla
porta di servizio, per mandarla a piede libero in attesa del
processo. Qualcosa di molto somigliante a ciò che succede da noi.
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