domenica 26 marzo 2017

Un giudice che non crede più nella legalità




TREVISO - «Lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio». Fatta questa considerazione, il giudice trevigiano Angelo Mascolo annuncia la sua decisione di volersi armare: «Come giudice sono autorizzato a tenere una pistola - precisa - non l'ho mai fatto fino a oggi, ma adesso ho deciso di armarmi. Per sicurezza. L'altra sera sono stato protagonista di un episodio che mi ha spaventato. Dopo aver ultimato un sorpasso, un'auto ha iniziato a farmi i fanali e seguirmi. Ho avuto paura. Per fortuna ho trovato una pattuglia dei carabinieri e ho chiesto il loro aiuto. Ma se non avessi trovato nessuno? Cosa sarebbe accaduto?». 


Le parole del giudice hanno scatenato il putiferio. L'Associazione nazionale magistrati reagisce con durezza: «La giunta veneta dell'Associazione resta sgomenta dinanzi alle esternazioni pubbliche del collega Angelo Mascolo e se ne dissocia e si riserva di interessare il collegio dei probiviri per le valutazioni disciplinari». E ancora: «I magistrati veneti, a differenza del collega Mascolo, credono profondamente nello Stato e si impegnano ogni giorno a difenderlo e a difendere tutti i cittadini senza ricorrere alla violenza o alle forme di vendetta e omicidio che il collega Mascolo richiama a sproposito e pare anzi auspicare».

2 commenti:

  1. Quando succederà, e non ci vorrà chissà quanto tempo purtroppo, se continua ad andare avanti(indietro?) così, che uno dei colleghi ci lasci le penne oppure prenda un sacco di legnate con chissà quali conseguenze, solo allora, cominceranno a prendere coscienza(e paura tanta).
    Questo vale anche per tutti gli altri sgherri del pensiero unico. Ma che cosa ci vuole a capirla?

    L'intelligenza dettata dalla logica latita ovunque.
    Benvenuti in Zombilandia.

    ti:ci:

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    Risposte
    1. Nel sud Italia i giudici sanno bene che il loro è un mestiere a rischio, perché hanno interiorizzato il concetto di pericolosità della Mafia (vedi Falcone e Borsellino).

      A Treviso i giudici non hanno ancora interiorizzato il concetto di pericolosità degli stranieri: albanesi, rumeni, nigeriani e compagnia bella. E’ un processo (nel loro caso mai parola fu più azzeccata) lento.

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