“Nasce il cane a fatica ed è rischio di morte il nascimento”,
cantava il grande poeta Giacomo Fidopardi. Egli è passato alla
storia come il campione del pessimismo, colui che ha descritto
minuziosamente, in tutti i suoi lati tragici, la vera essenza della
vita. Ma che ne sapeva lui, che la natura aveva castigato, dotandolo
di un fisico deforme?! Che ne sapeva lui, rinchiuso nel suo natìo
canile selvaggio, delle bellezze e delle gioie della vita?! Poter
gustare l’ebbrezza della libertà, correndo libero nei prati e
finendo schiacciato sulla superstrada, assaporare sulla pelle il
calore del sole e quello dell’acqua bollente gettata addosso dal
macellaio furioso, saziare la propria fame con succulenti bocconcini
e ritrovarsi a vomitare l’esca avvelenata comprata al mercato di
Sakamaha, estinguere la propria sete con acqua di ruscello ed essere
tormentati da parassiti interni ed esterni, tutto ciò – e molto
altro – fa parte della bellezza della vita. Che ne poteva sapere
Fidopardi, membro di nobile schiatta, nonché poeta di razza,
vincitore di premi e concorsi?! Vorrei vedere lui al posto mio! Mi
hanno avvelenato, legato una corda al collo, trascinato sulla riva
del Fiherena e lasciato a decompormi sul bordo della strada, dove
tutti, passando e turandosi il naso, possano vedere quanto è bella
la vita, per lo meno la vita di un cane. Come dice il nostro Libro
Sacro, polvere di laterite sei e polvere di laterite tornerai.
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