A dispetto della veste elegante e del nome che potrebbe ingolosire
i collezionisti di lattine di birra e gli estimatori del biondo
nettare degli Dei, la “Birra africana” nasconde un segreto
inconfessabile: è l’ennesimo prodotto della globalizzazione.
Personalmente, disapprovo le politiche internazionali che portano
questo prodotto, come tanti altri, ad avere la sede legale nelle
isole Maurizio, ad essere confezionate in Polonia e commercializzate
in Madagascar (e probabilmente anche in altri stati africani, visto
il nome). Il fatto che venga dall’Europa spiega il suo prezzo:
3.300 ariary, un euro. Io sono per i chilometri zero. Tuttavia, la
THB, sempre da 50 cl, di produzione locale, costa poco meno: 2.500.
Anzitutto bisogna dire che, con i suoi otto gradi, fa parte del
gruppo delle birre aromatiche e liquorose che danno subito alla
testa. L’ho voluta provare per curiosità ma non è stata di mio
gradimento. Troppo pastoso il suo retrogusto. Pertanto, il vostro
Mastro Birraio ve la sconsiglia. Non lasciatevi tentare dai colori
della lattina. L’apparenza inganna ed inebria.
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