Fonte: Il Fatto Quotidiano
Una mattanza di balene ripetuta ogni anno solo per “mantenere ex
funzionari e politici del ministero della Pesca, parcheggiati
all’istituto di ricerca cetacei”. A parlare è Alessandro Giannì,
direttore delle campagne di Greenpeace Italia, dopo la “tradizionale”
uccisione di decine di balene avvenuta in Giappone. Tre navi proprio
oggi sono rientrate nel porto di Shimonoseki con a bordo 333 cetacei.
Si tratta del bottino di una spedizione di caccia, durata 83 giorni,
che viene ripetuta ogni anno, ufficialmente con lo scopo di fare
“ricerca scientifica” sull’ecosistema del Mar Antartico. Una
scusa per rimpinzare annualmente l’istituto di ricerca con circa 10
milioni di dollari di soldi pubblici, che servono a mantenere “una
piccola minoranza di persone, protette dalla potentissima lobby che
ruota intorno al ministero della Pesca”, racconta Giannì. In
Giappone la pesca procura il 70-80 per cento del cibo che finisce
sulle tavole e per questo il suo ministero è uno dei più importanti
e influenti nel Paese. “Tanto da riuscire a giustificare una
mattanza che ha una spesa enorme e non è sostenibile se non con i
soldi dei contribuenti“, aggiunge Giannì.
Una volta uccise le balene “per la ricerca scientifica“, le
spedizioni di caccia dovrebbero infatti essere sostenute
economicamente dalla vendita della carne, che però in Giappone non
mangia più quasi nessuno. “Così tonnellate di carne di balena
rimangono nelle celle frigorifere – spiega Giannì – e i
cittadini giapponesi continuano a pagare di tasca propria questa
grande truffa“. Il ministero della Pesca ha tentato in ogni modo di
riuscire a guadagnarci, provando addirittura a vendere la carne “come
cibo per cani e gatti” o inserendola “nelle mense scolastiche“.
Ma in realtà, racconta Giannì, “solo il 5 per cento circa della
popolazione giapponese mangia abitualmente carne di balena”. La
tradizione, se così si può chiamare, risale infatti al Dopoguerra,
quando dopo le due bombe nucleari gli americani fornirono al Giappone
le proprio baleniere per procurarsi una facile fonte di
sostentamento. “Oggi solo gli anziani mangiano ancora i cetacei –
sottolinea Giannì – proprio perché è un retaggio di quel
difficile periodo storico”.
Il programma governativo però è stato riconfermato anche
quest’anno, nonostante sia stato condannato dalla Corte
internazionale di giustizia, che nel 2014 ha stabilito che la
cosiddetta “caccia a fini di ricerca” che il Giappone conduce in
Antartide viola la moratoria sulla caccia alle balene del 1986. Tokyo
continua a mascherarsi dietro i presunti fini scientifici, “anche
se nel resto del mondo tutti fanno studi sui cetacei senza
ucciderli“, specifica Giannì. Tra l’altro, uno dei frutti della
caccia compiuta dall’istituto nipponico è una stima sull’età
delle balene, secondo cui “questo esemplare vivrebbe in eterno“.
“Una conclusione spettacolare”, ironizza il dirigente di
Greenpeace Italia.
Dopo la sentenza dell’Aja, il governo nipponico ha risposto
presentando un nuovo piano che prevede l’uccisione di 3.996
balenottere minori nei prossimi 12 anni. Anche la Commissione
internazionale sulla caccia alle balene ha contestato le “prove”
fornite dal Giappone per giustificare la valenza scientifica di
questa mattanza. Intanto le statistiche in mano a Greenpeace parlano
chiaro: questa specie, in Antartide, è già stata ridotta oggi all’1
per cento della sua popolazione originaria.
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