mercoledì 26 marzo 2014

10, 100, 1000 plebisciti


Fonte: L'Officina

Testo di Paolo Danieli

Era nell’ordine delle cose. Quando uno stato mostra di non essere più in grado di dare un futuro ai propri figli è normale che si faccia strada l’idea di far da sé. Far da sé, come quando le famiglie si sostituiscono allo stato sociale nel sostenere i figli che non trovano lavoro, non hanno la possibilità di metter su casa e tantomeno di fare una famiglia. Far da sé, come quando i nostri ragazzi sono costretti ad andare all’estero a cercare lavoro. Far da sé, come quei giovani ai quali, dopo aver studiato e magari ottenuto una laurea, vien detto di inventarsi un lavoro perché non ce n’è.

Allora come meravigliarsi se anche i Veneti decidono di far da sé, visto che danno allo stato molto più di quanto ricevono e che chiedono autonomia senza avere alcuna risposta?
L’esito del “plebiscito” telematico organizzato dagli indipendentisti veneti, comunque lo si voglia leggere, è un fatto: il fuoco che covava sotto la cenere fin dai tempi della Liga Veneta, prima che esistesse la Lega di Bossi, a nord-est non si era mai spento. E oggi con la crisi, con le fabbriche chiuse e con i suicidi, comincia a bruciare. E di legna da ardere ne ha, tanta quanta è la disperazione e la rabbia delle genti venete che sentono allentato, quasi sciolto, il vincolo che le teneva unite alle altre genti italiche. Un vincolo che fino alla prima guerra mondiale era stato piuttosto debole e che solo il fascismo, piaccia o no, era stato capace di consolidare nella prospettiva del comune destino degli italiani. Poi, con la propaganda comunista e l’internazionalismo proletario, con il pacifismo cosmopolita, con il consumismo, l’economicismo e la globalizzazione è andato via via allentandosi. L’Europa e la crisi hanno fatto il resto. 
Certo, a chi non vive in Veneto, dove più che in altre regioni è ben radicata l’identità culturale, la lingua, la tradizione, può parer strano sentir parlare di indipendenza e del diritto all’autodeterminazione. O addirittura quasi blasfemo. Ma, sondaggio e plebisciti a parte, basta fare un giro al bar o al mercato per rendersi conto che da queste parti è un pensiero piuttosto comune. Espresso o inespresso che sia.

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