Fonte: L'Officina
Testo di
Paolo Danieli
Era
nell’ordine delle cose. Quando uno stato mostra di non essere più in
grado di dare un futuro ai propri figli è normale che si faccia strada
l’idea di far da sé. Far da sé, come quando le famiglie si sostituiscono
allo stato sociale nel sostenere i figli che non trovano lavoro, non
hanno la possibilità di metter su casa e tantomeno di fare una famiglia.
Far da sé, come quando i nostri ragazzi sono costretti ad andare
all’estero a cercare lavoro. Far da sé, come quei giovani ai quali, dopo
aver studiato e magari ottenuto una laurea, vien detto di inventarsi un
lavoro perché non ce n’è.
Allora
come meravigliarsi se anche i Veneti decidono di far da sé, visto che
danno allo stato molto più di quanto ricevono e che chiedono autonomia
senza avere alcuna risposta?
L’esito
del “plebiscito” telematico organizzato dagli indipendentisti veneti,
comunque lo si voglia leggere, è un fatto: il fuoco che covava sotto la
cenere fin dai tempi della Liga Veneta, prima che esistesse la Lega di
Bossi, a nord-est non si era mai spento. E oggi con la crisi, con le
fabbriche chiuse e con i suicidi, comincia a bruciare. E di legna da
ardere ne ha, tanta quanta è la disperazione e la rabbia delle genti
venete che sentono allentato, quasi sciolto, il vincolo che le teneva
unite alle altre genti italiche. Un vincolo che fino alla prima guerra
mondiale era stato piuttosto debole e che solo il fascismo, piaccia o
no, era stato capace di consolidare nella prospettiva del comune destino
degli italiani. Poi, con la propaganda comunista e l’internazionalismo
proletario, con il pacifismo cosmopolita, con il consumismo,
l’economicismo e la globalizzazione è andato via via allentandosi.
L’Europa e la crisi hanno fatto il resto.
Certo,
a chi non vive in Veneto, dove più che in altre regioni è ben radicata
l’identità culturale, la lingua, la tradizione, può parer strano sentir
parlare di indipendenza e del diritto all’autodeterminazione. O
addirittura quasi blasfemo. Ma, sondaggio e plebisciti a parte, basta
fare un giro al bar o al mercato per rendersi conto che da queste parti è
un pensiero piuttosto comune. Espresso o inespresso che sia.
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