Testo di Fabrizio
Belloni
Forse
ho mangiato con troppa avidità la peperonata.
Di
fatto questa notte ho fatto un sogno strano. Non un incubo, ma un sogno
assolutamente strano. Ero
seduto al tavolo del poker con Renzi, Obama e Francesco.
Renzi
stava perdendo, con incarnato cadaverico, e si sforzava di essere il più
gentile e disponibile possibile con Francesco e soprattutto con Obama. Ne
seguiva le mosse, ne vantava l’abilità ad ogni colpo vincente, ne copiava le
espressioni, scimmiottando un improbabile inglese, per ossequio a quello che
sembrava essere il suo padrone: l’Obama.
Che
vinceva, moderatamente, ma vinceva. Con finta disponibilità ed educazione verso
gli altri tre giocatori, cercava di mascherare l’arroganza endemica, la
spocchia appiccicata da appena un secolo, l’autostima suprema, che lo portava a
trinciare giudizi, a dare o meno patenti di civiltà (lui!), di democrazia, di
affidabilità. Trasudava
padronanza, potere, superiorità da tutti i pori, ed anche i capelli
brizzolati sembravano trasmettere il vero sentire dell’Obama: il padrone sono
me!
Renzi
si adeguava, scodinzolando, ovviamente, ansioso della necessaria protezione
dell’Imperator della Nuova Roma, Washington.
Francesco
il candido, faceva ovviamente il gesuita. Come del resto è.
Predicava con simpatica umiltà, cercava di mostrare come si deve giocare. Certo, aveva la brutta abitudine, di tutti i suoi predecessori, di pretendere che la sua fosse la vera maniera di stare al gioco. Fingeva umiltà per mascherare i duemila anni di gestione brutale del potere attraverso un esercito di venditori di fumo: soffrite voi in questa valle di lacrime, perché la ricompensa la avrete nell’aldilà. A gestire il potere ci sacrifichiamo noi.
Predicava con simpatica umiltà, cercava di mostrare come si deve giocare. Certo, aveva la brutta abitudine, di tutti i suoi predecessori, di pretendere che la sua fosse la vera maniera di stare al gioco. Fingeva umiltà per mascherare i duemila anni di gestione brutale del potere attraverso un esercito di venditori di fumo: soffrite voi in questa valle di lacrime, perché la ricompensa la avrete nell’aldilà. A gestire il potere ci sacrifichiamo noi.
Io
facevo l’europeo. Scanzonato e fregandomene di chi avevo davanti e contro.
Come
sempre il poker va ad ondate. Più alte e più basse, ad intermittenza. Salendo di
intensità verso la fine del gioco.
Arrivammo
così alla mano cruciale, alla mano decisiva.
La
posta era già alta, a fine gioco. Renzi aprì, ed Obama rilanciò pesante. Francesco,
il cartaio, fece finta di pensarci (bluff comportamentale), poi si adeguò. Io
non credetti né ad Obama, né a Francesco, e rilanciai, suscitando sguardi quasi
offesi di Obama e di Francesco.
Obama
cambiò due carte, come Francesco. Io ne cambiai una, essendo già servito, in
verità. Obama puntò alto, altissimo. Francesco ancora di più. Io vidi. Obama
poteva per regola rilanciare e puntò tutto. Francesco vide. Io pure.
Trionfante Obama mostrò le carte: full di Marines
e di Navy Seals.
Francesco
lo gelò: “non basta”, untuosamente disse, “Poker di santi”, mostrando le carte
ed allungando le mani sul tavolo.
“Fermo!”
intimai facendo vedere le mie carte: “Poker di Panzer Divisionen!”. Avevo vinto,
Mi
svegliai di botto, convinto che il pigiama fosse la nera divisa dei carristi
Tedeschi.
Mi
resi conto che era un sogno.
Bello,
bellissimo, ma solo un sogno.
O
forse no.
Forse
era stato un sogno, sì, ma premonitore.
Sono
rimasto di buon umore tutta la giornata.
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