venerdì 28 marzo 2014

Una fantastica partita a poker



Testo di Fabrizio Belloni

Forse ho mangiato con troppa avidità la peperonata.
Di fatto questa notte ho fatto un sogno strano. Non un incubo, ma un sogno assolutamente strano. Ero seduto al tavolo del poker con Renzi, Obama e Francesco.
Renzi stava perdendo, con incarnato cadaverico, e si sforzava di essere il più gentile e disponibile possibile con Francesco e soprattutto con Obama. Ne seguiva le mosse, ne vantava l’abilità ad ogni colpo vincente, ne copiava le espressioni, scimmiottando un improbabile inglese, per ossequio a quello che sembrava essere il suo padrone: l’Obama.

Che vinceva, moderatamente, ma vinceva. Con finta disponibilità ed educazione verso gli altri tre giocatori, cercava di mascherare l’arroganza endemica, la spocchia appiccicata da appena un secolo, l’autostima suprema, che lo portava a trinciare giudizi, a dare o meno patenti di civiltà (lui!), di democrazia, di affidabilità. Trasudava  padronanza, potere, superiorità da tutti i pori, ed anche i capelli brizzolati sembravano trasmettere il vero sentire dell’Obama: il padrone sono me!
Renzi si adeguava, scodinzolando, ovviamente, ansioso della necessaria protezione dell’Imperator della Nuova Roma, Washington.
Francesco il candido, faceva ovviamente il gesuita. Come del resto è.
                                                                                                                                                  
Predicava  con simpatica umiltà, cercava di mostrare come si deve giocare. Certo, aveva la brutta abitudine, di tutti i suoi predecessori, di pretendere che la sua fosse la vera maniera di stare al gioco. Fingeva umiltà per mascherare i duemila anni di gestione brutale del potere attraverso un esercito di venditori di fumo: soffrite voi in questa valle di lacrime, perché la ricompensa la avrete nell’aldilà. A gestire il potere ci sacrifichiamo noi.
Io facevo l’europeo. Scanzonato e fregandomene di chi avevo davanti e contro.
Come sempre il poker va ad ondate. Più alte e più basse, ad intermittenza. Salendo di intensità verso la fine del gioco.
Arrivammo così alla mano cruciale, alla mano decisiva.
La posta era già alta, a fine gioco. Renzi aprì, ed Obama rilanciò pesante. Francesco, il cartaio, fece finta di pensarci (bluff comportamentale), poi si adeguò. Io non credetti né ad Obama, né a Francesco, e rilanciai, suscitando sguardi quasi offesi di Obama e di Francesco.

Renzi il pallido se ne andò: come sempre non aveva nulla in mano.
Obama cambiò due carte, come Francesco. Io ne cambiai una, essendo già servito, in verità. Obama puntò alto, altissimo. Francesco ancora di più. Io vidi. Obama poteva per regola rilanciare e puntò tutto. Francesco vide. Io pure.
Trionfante  Obama mostrò le carte: full di Marines e di Navy Seals.
Francesco lo gelò: “non basta”, untuosamente disse, “Poker di santi”, mostrando le carte ed allungando le mani sul tavolo.
“Fermo!” intimai facendo vedere le mie carte: “Poker di Panzer Divisionen!”. Avevo vinto,
Mi svegliai di botto, convinto che il pigiama fosse la nera divisa dei carristi Tedeschi.
Mi resi conto che era un sogno.
Bello, bellissimo, ma solo un sogno.
O forse no.
Forse era stato un sogno, sì, ma premonitore.
Sono rimasto di buon umore tutta la giornata.

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