Testo
di Marcello Foa
Tra
le molte reazioni alle mie analisi sull’Ucraina, molti mi hanno chiesto come
fossi a essere sicuro del coinvolgimento dei neonazisti al fianco dei rivoltosi
filoeuropeisti e anti Yanukovich di Piazza Maidan. Lo sono perché lo hanno
scritto diversi colleghi che erano a Kiev in quei giorni o che hanno indagato i
fatti, in Italia Fausto Biloslavo per Il Giornale, ma anche
giornalisti di diverse nazionalità.
L’obiezione,
però, riguardava soprattutto il fatto che la grande stampa, non solo italiana,
non ne ha parlato, continuando invece a esaltare l’eroica rivolta popolare
contro il satrapo presidente Yanukovich. In realtà anche un giornale come la
Repubblica ha parlato di questi fatti, confermando tutto quello che ho scritto.
La
Repubblica? Possibile? Certo. Il caso è emblematico e dimostra come, una volta
costruito il “frame” collettivo, sia praticamente impossibile sradicarlo.
Mi
spiego: Repubblica ha inviato a Kiev e ora in Crimea alcuni inviati, tra cui un
bravissimo giornalista, che non conosco personalmente ma che stimo apprezzandone
l’equilibrio e le competenza in materia: il corrispondente da Mosca, Nicola
Lombardozzi.
Il
quale ha scritto almeno due articoli su questo argomento. Uno addirittura il 30
gennaio, intitolato “Kiev, fra le anime nere della piazza “Così la destra conquisterà l’Ucraina”. L’altro una settimana fa, sul Venerdì di
Repubblica, numero del 7 marzo, e intitolato: La faccia nera del rebus ucraino.
Gran
bei reportages. Riporto qualche passaggio dell’ultimo articolo, cominciando dal
sommario che recita così:
Ultranazionalisti.
Antirussi. Antisemiti. Ben finanziati. Organizzati in cellule paramilitari
piccole ma efficacissime. Ecco chi sono i duri all’ombra della rivoluzione di
Kiev. E perché i «filoeuropei» non possono più fare a meno di loro.
(…)
Tute nere fasciatissime e fresche di stiratura, protezioni da pattinatori nuove
di zecca alle ginocchia, avranno al massimo vent’anni. Portano al braccio i
nastrini rosso e neri di Pravij Sektor (Settore di Destra), gente dura che
combatte da anni, e che in questa rivoluzione ucraina che sta sconvolgendo l’Europa
ha avuto un ruolo strisciante, ben mimetizzato appunto. Restando nell’ombra
quando la gente comune, le famigliole, i giovani con tanta sincera voglia di
Europa, mostravano i loro volti puliti alle telecamere di tutto il mondo.
Arrivando invece nei punti giusti, con le loro abili provocazioni, le bottiglie
molotov, qualche carabina di precisione, la loro capacità di ingaggiare corpo a
corpo con gli agenti speciali della polizia, quando serviva alzare i toni della
rivolta, o riaccendere l’entusiasmo dei politici moderati che mostravano i
primi segni di logoramento.
E
ancora:
Ne
hanno fatta di strada da quando erano visti come la peste fascista sia dai
filorussi che dagli oppositori pro Europa. L’idea di base è venuta qualche
tempo fa a Dmitrij Jarosh, 42 anni, ex ufficiale dell’Armata Rossa sovietica
fondatore di Trizub (Tridente), un movimento che si ispira al famigerato Stepan
Bandera, fiero collaboratore dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale
divenuto il simbolo del nazionalismo esasperato ucraino anti comunista,
violento e, spesso, antisemita. (…)
E restando quasi invisibile agli occhi del mondo, Jarosh ha dunque gestito l’ala violenta della Majdan, fronteggiando i non meno fanatici Berkut (aquile reali) gli agenti speciali della polizia ucraina. Ai poliziotti più cattivi di Yanukovich, quelli che abbiamo visto sparare dai tetti sulla folla, hanno offerto le provocazioni necessarie per scatenare l’inferno e allarmare l’Europa. Hanno lanciato sassi con rudimentali catapulte, hanno bruciato camion, seguito agenti e loro ufficiali fino nei dormitori per pestarli a morte con le spranghe di ferro, catturato con operazioni militari intere squadre di agenti più giovani e meno esperti. E hanno sparato anche loro, evidentemente, se è vero che molti poliziotti sono stati crivellati da colpi di arma da fuoco. Poco importa accertare chi abbia cominciato prima e perché. Di certo il coordinamento di Pravij Sektor ha ottenuto quello che voleva, spingere al limite estremo la rivoluzione, ridicolizzare i tentativi dei cosiddetti leader moderati di stringere accordi con Yanukovich, stipulare una tregua.
E restando quasi invisibile agli occhi del mondo, Jarosh ha dunque gestito l’ala violenta della Majdan, fronteggiando i non meno fanatici Berkut (aquile reali) gli agenti speciali della polizia ucraina. Ai poliziotti più cattivi di Yanukovich, quelli che abbiamo visto sparare dai tetti sulla folla, hanno offerto le provocazioni necessarie per scatenare l’inferno e allarmare l’Europa. Hanno lanciato sassi con rudimentali catapulte, hanno bruciato camion, seguito agenti e loro ufficiali fino nei dormitori per pestarli a morte con le spranghe di ferro, catturato con operazioni militari intere squadre di agenti più giovani e meno esperti. E hanno sparato anche loro, evidentemente, se è vero che molti poliziotti sono stati crivellati da colpi di arma da fuoco. Poco importa accertare chi abbia cominciato prima e perché. Di certo il coordinamento di Pravij Sektor ha ottenuto quello che voleva, spingere al limite estremo la rivoluzione, ridicolizzare i tentativi dei cosiddetti leader moderati di stringere accordi con Yanukovich, stipulare una tregua.
Con la complicità e i massicci finanziamenti di
tanti oligarchi dell’Ovest del Paese che sognano un’Ucraina in Europa.
Dunque
tutto confermato: i filonazisti hanno avuto un ruolo decisivo nella rivolta
popolare, rendendola violenta al momento opportuno. Hanno agito nell’ombra. E
sono stati sostenuti da imprecisati ma molto ricchi “oligarchi dell’Ovest del
Paese”.
Chapeau
a Lombardozzi, che peraltro anche dalla Crimea sta inviando corrispondenze
molto obiettive. Però è molto verosimile che il lettore di Repubblica e di
Venerdì non abbia cambiato il proprio giudizio sull’Ucraina e nemmeno dubiti
dell’autenticità della rivolta. Semplicemente perché il “frame” ovvero la
cornice interpretativa che la stessa Repubblica propone ogni giorno tende a
rinforzare il primo giudizio, la prima impressione, quella di una rivolta
eroica in cui il bene è da una parte (il popolo ucraino liberato e ansioso di
abbracciare l’Europa) e il male dall’altra (Yanukovich e Putin che con logica
imperiale si prende la Crimea).
Vi
lascio giudicare. Lo stesso 7 marzo La Repubblica titolava così all’interno:
pagina 6: “Ucraina indivisibile, reagiremo” L’Europa con gli Usa sulla linea dura.
pagina 9: Voti parlamentari e tank. La finta legalità di Zar Putin l’invasore che nessuno ferma.
pagina 6: “Ucraina indivisibile, reagiremo” L’Europa con gli Usa sulla linea dura.
pagina 9: Voti parlamentari e tank. La finta legalità di Zar Putin l’invasore che nessuno ferma.
Pochi
giorni dopo, lunedì 10 marzo, pagina 12: A Majdan l’orgoglio ucraino, la folla
ritorna in piazza. “Nessuno tocchi la nostra terra. Rabbia e rassegnazione a
Kiev. “Mosca vuole umiliarci”.
Un quadro interpretativo, quello di Repubblica, condiviso con la grande maggioranza degli altri giornali, non solo italiani, come dimostra la copertina di Internazionale (numero 1041). Titolo: Strategia imperiale. Perché Mosca vuole riprendersi la Crimea. Che riprende un articolo di Le Monde. E come può appurare chiunque consultando i siti di altre grandi testate internazionali, americane, inglesi, francesi, tedeschi o ascoltando i TG delle principali tv.
Un quadro interpretativo, quello di Repubblica, condiviso con la grande maggioranza degli altri giornali, non solo italiani, come dimostra la copertina di Internazionale (numero 1041). Titolo: Strategia imperiale. Perché Mosca vuole riprendersi la Crimea. Che riprende un articolo di Le Monde. E come può appurare chiunque consultando i siti di altre grandi testate internazionali, americane, inglesi, francesi, tedeschi o ascoltando i TG delle principali tv.
Siti
sui quali, come accade con Repubblica, è possibile leggere reportages e
commenti controcorrente, ma – e qui sta il punto – raramente portati in prima
pagina, mai supportati da una quantità di articoli capace, per rilevanza e
titolazione, di cambiare il “frame” ricorrente, che è condiviso dalla maggior
parte dei giornali nazionali e soprattutto internazionali; e dunque, proprio
perché condiviso, tendenzialmente autorinforzante. Qualunque redazione si sente
confortata e, in fondo nel giusto, se a sostenere quella visione sono altre
testate prestigiose a Londra, Parigi, Washington.
Accade
in ogni crisi internazionale: dalla guerra che ormai sappiamo pretestuosa
contro l’Iraq di Saddam Hussein, che non aveva armi chimiche, né
batteriologiche, passando per le più recenti primavere arabe in Egitto e
Tunisia, fino alla rivolta violenta in Libia e in Siria.
Quel
che conta è stabilire il primo “frame” per delineare a un pubblico che non ha
familiarità con temi e Paesi lontani, una cornice di giudizio forte, indicando
dov’è il Bene e dov’è il Male, possibilmente con il supporto di filmati o foto
emozionanti, e di personaggi eroici, esaltanti; insomma creando un contesto,
che consenta di umanizzare il conflitto puntando sulla percezione più che sull’analisi.
Compiuto questo passo, occorre rafforzare la narrazione accentuando la valutazione morale, non fosse che grazie all’unanime indignazione internazionale. Quando il “frame” è consolidato i media istintivamente tendono a non recepire o comunque a relativizzare gli elementi distonici, come accaduto riguardo ai neonazisti di Piazza Majdan o, ancor di più, sulla presenza – certa ma ancora oggi ai più sconosciuta – di misteriosi cecchini che hanno sparato sia sui manifestanti che sui soldati.
Compiuto questo passo, occorre rafforzare la narrazione accentuando la valutazione morale, non fosse che grazie all’unanime indignazione internazionale. Quando il “frame” è consolidato i media istintivamente tendono a non recepire o comunque a relativizzare gli elementi distonici, come accaduto riguardo ai neonazisti di Piazza Majdan o, ancor di più, sulla presenza – certa ma ancora oggi ai più sconosciuta – di misteriosi cecchini che hanno sparato sia sui manifestanti che sui soldati.
Non
c’è costrizione, non c’è complicità. E’ un automatismo ben noto agli spin
doctor, veri artefici di queste operazioni, i quali sanno usare a proprio
vantaggio la psicologia, i limiti, le consuetudini, l’innata tendenza al
conformismo della stampa mainstream, di destra, di centro e di sinistra.
Ieri,
oggi e, statene certi, domani.
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