lunedì 24 marzo 2014

Il quadro generale prevale sul dettaglio

 

Testo di Marcello Foa


Tra le molte reazioni alle mie analisi sull’Ucraina, molti mi hanno chiesto come fossi a essere sicuro del coinvolgimento dei neonazisti al fianco dei rivoltosi filoeuropeisti e anti Yanukovich di Piazza Maidan. Lo sono perché lo hanno scritto diversi colleghi che erano a Kiev in quei giorni o che hanno indagato i fatti, in Italia Fausto Biloslavo per Il Giornale, ma anche giornalisti di diverse nazionalità.
L’obiezione, però, riguardava soprattutto il fatto che la grande stampa, non solo italiana, non ne ha parlato, continuando invece a esaltare l’eroica rivolta popolare contro il satrapo presidente Yanukovich. In realtà anche un giornale come la Repubblica ha parlato di questi fatti, confermando tutto quello che ho scritto.

La Repubblica? Possibile? Certo. Il caso è emblematico e dimostra come, una volta costruito il “frame” collettivo, sia praticamente impossibile sradicarlo.
Mi spiego: Repubblica ha inviato a Kiev e ora in Crimea alcuni inviati, tra cui un bravissimo giornalista, che non conosco personalmente ma che stimo apprezzandone l’equilibrio e le competenza in materia: il corrispondente da Mosca, Nicola Lombardozzi.
Il quale ha scritto almeno due articoli su questo argomento. Uno addirittura il 30 gennaio, intitolato “Kiev, fra le anime nere della piazza “Così la destra conquisterà l’Ucraina”. L’altro una settimana fa, sul Venerdì di Repubblica, numero del 7 marzo, e intitolato: La faccia nera del rebus ucraino.
Gran bei reportages. Riporto qualche passaggio dell’ultimo articolo, cominciando dal sommario che recita così:
Ultranazionalisti. Antirussi. Antisemiti. Ben finanziati. Organizzati in cellule paramilitari piccole ma efficacissime. Ecco chi sono i duri all’ombra della rivoluzione di Kiev. E perché i «filoeuropei» non possono più fare a meno di loro. 
(…) Tute nere fasciatissime e fresche di stiratura, protezioni da pattinatori nuove di zecca alle ginocchia, avranno al massimo vent’anni. Portano al braccio i nastrini rosso e neri di Pravij Sektor (Settore di Destra), gente dura che combatte da anni, e che in questa rivoluzione ucraina che sta sconvolgendo l’Europa ha avuto un ruolo strisciante, ben mimetizzato appunto. Restando nell’ombra quando la gente comune, le famigliole, i giovani con tanta sincera voglia di Europa, mostravano i loro volti puliti alle telecamere di tutto il mondo. Arrivando invece nei punti giusti, con le loro abili provocazioni, le bottiglie molotov, qualche carabina di precisione, la loro capacità di ingaggiare corpo a corpo con gli agenti speciali della polizia, quando serviva alzare i toni della rivolta, o riaccendere l’entusiasmo dei politici moderati che mostravano i primi segni di logoramento. 
E ancora:
Ne hanno fatta di strada da quando erano visti come la peste fascista sia dai filorussi che dagli oppositori pro Europa. L’idea di base è venuta qualche tempo fa a Dmitrij Jarosh, 42 anni, ex ufficiale dell’Armata Rossa sovietica fondatore di Trizub (Tridente), un movimento che si ispira al famigerato Stepan Bandera, fiero collaboratore dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale divenuto il simbolo del nazionalismo esasperato ucraino anti comunista, violento e, spesso, antisemita. (…)
                                                                                                                                                 
E restando quasi invisibile agli occhi del mondo, Jarosh ha dunque gestito l’ala violenta della Majdan, fronteggiando i non meno fanatici Berkut (aquile reali) gli agenti speciali della polizia ucraina. Ai poliziotti più cattivi di Yanukovich, quelli che abbiamo visto sparare dai tetti sulla folla, hanno offerto le provocazioni necessarie per scatenare l’inferno e allarmare l’Europa. Hanno lanciato sassi con rudimentali catapulte, hanno bruciato camion, seguito agenti e loro ufficiali fino nei dormitori per pestarli a morte con le spranghe di ferro, catturato con operazioni militari intere squadre di agenti più giovani e meno esperti. E hanno sparato anche loro, evidentemente, se è vero che molti poliziotti sono stati crivellati da colpi di arma da fuoco. Poco importa accertare chi abbia cominciato prima e perché. Di certo il coordinamento di Pravij Sektor ha ottenuto quello che voleva, spingere al limite estremo la rivoluzione, ridicolizzare i tentativi dei cosiddetti leader moderati di stringere accordi con Yanukovich, stipulare una tregua.
Con la complicità e i massicci finanziamenti di tanti oligarchi dell’Ovest del Paese che sognano un’Ucraina in Europa. 

Dunque tutto confermato: i filonazisti hanno avuto un ruolo decisivo nella rivolta popolare, rendendola violenta al momento opportuno. Hanno agito nell’ombra. E sono stati sostenuti da imprecisati ma molto ricchi “oligarchi dell’Ovest del Paese”.
Chapeau a Lombardozzi, che peraltro anche dalla Crimea sta inviando corrispondenze molto obiettive. Però è molto verosimile che il lettore di Repubblica e di Venerdì non abbia cambiato il proprio giudizio sull’Ucraina e nemmeno dubiti dell’autenticità della rivolta. Semplicemente perché il “frame” ovvero la cornice interpretativa che la stessa Repubblica propone ogni giorno tende a rinforzare il primo giudizio, la prima impressione, quella di una rivolta eroica in cui il bene è da una parte (il popolo ucraino liberato e ansioso di abbracciare l’Europa) e il male dall’altra (Yanukovich e Putin che con logica imperiale si prende la Crimea).
Vi lascio giudicare. Lo stesso 7 marzo La Repubblica titolava così all’interno:
pagina 6: “Ucraina indivisibile, reagiremo” L’Europa con gli Usa sulla linea dura.
pagina 9: Voti parlamentari e tank. La finta legalità di Zar Putin l’invasore che nessuno ferma.
Pochi giorni dopo, lunedì 10 marzo, pagina 12: A Majdan l’orgoglio ucraino, la folla ritorna in piazza. “Nessuno tocchi la nostra terra. Rabbia e rassegnazione a Kiev. “Mosca vuole umiliarci”.
                                                                                                                                                  
Un quadro interpretativo, quello di Repubblica, condiviso con la grande maggioranza degli altri giornali, non solo italiani, come dimostra la copertina di Internazionale (numero 1041). Titolo: Strategia imperiale. Perché Mosca vuole riprendersi la Crimea. Che riprende un articolo di Le Monde. E come può appurare chiunque consultando i siti di altre grandi testate internazionali, americane, inglesi, francesi, tedeschi o ascoltando i TG delle principali tv.
Siti sui quali, come accade con Repubblica, è possibile leggere reportages e commenti controcorrente, ma – e qui sta il punto – raramente portati in prima pagina, mai supportati da una quantità di articoli capace, per rilevanza e titolazione, di cambiare il “frame” ricorrente, che è condiviso dalla maggior parte dei giornali nazionali e soprattutto internazionali; e dunque, proprio perché condiviso, tendenzialmente autorinforzante. Qualunque redazione si sente confortata e, in fondo nel giusto, se a sostenere quella visione sono altre testate prestigiose a Londra, Parigi, Washington. 

Accade in ogni crisi internazionale: dalla guerra che ormai sappiamo pretestuosa contro l’Iraq di Saddam Hussein, che non aveva armi chimiche, né batteriologiche, passando per le più recenti primavere arabe in Egitto e Tunisia, fino alla rivolta violenta in Libia e in Siria.
Quel che conta è stabilire il primo “frame” per delineare a un pubblico che non ha familiarità con temi e Paesi lontani, una cornice di giudizio forte, indicando dov’è il Bene e dov’è il Male, possibilmente con il supporto di filmati o foto emozionanti, e di personaggi eroici, esaltanti; insomma creando un contesto, che consenta di umanizzare il conflitto puntando sulla percezione più che sull’analisi.
                                                                                                                                                  
Compiuto questo passo, occorre rafforzare la narrazione accentuando la valutazione morale, non fosse che grazie all’unanime indignazione internazionale. Quando il “frame” è consolidato i media istintivamente tendono a non recepire o comunque a relativizzare gli elementi distonici, come accaduto riguardo ai neonazisti di Piazza Majdan o, ancor di più, sulla presenza – certa ma ancora oggi ai più sconosciuta – di misteriosi cecchini che hanno sparato sia sui manifestanti che sui soldati.
Non c’è costrizione, non c’è complicità. E’ un automatismo ben noto agli spin doctor, veri artefici di queste operazioni, i quali sanno usare a proprio vantaggio la psicologia, i limiti, le consuetudini, l’innata tendenza al conformismo della stampa mainstream, di destra, di centro e di sinistra.
Ieri, oggi e, statene certi, domani.

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