Fonte:
L’Officina
Testo
di Beppe Giuliano
Il
referendum sull’indipendenza del Veneto – se ne parla un po’ da noi, per nulla
in Italia contrariamente al dibattito che è in corso in Spagna e nel Regno
Unito per le iniziative analoghe di Catalogna e Scozia (anche se nelle
Highlands sarà un referendum vero)
- porterà ad un “sì” abbastanza
scontato.
In
fondo, anche per chi non è veneto da molte generazioni, è più facile
riconoscersi nel leone marciano – segno tangibile di una Repubblica durata
mille anni e che ha salvato l’Occidente come noi oggi lo conosciamo dal dominio
musulmano – che non in un guazzabuglio di problemi, apparentemente
irrisolvibili, come sembra oggi la giovane e fragile Repubblica italiana.
Tante
considerazioni politiche e sociologiche sul disagio dei veneti, ma proviamo a
metter giù qualche cifra e vediamo cosa diventerebbe un Veneto indipendente e
che peso potrebbe conquistarsi nel mondo.
Partiamo
dal prodotto interno lordo, base di ogni calcolo e valutazione politica.
Dopo
cinque anni di crisi il Pil veneto per abitante si è portato attorno ai 26mila
euro pro-capite, vuol dire che ogni anno produciamo e vendiamo beni e servizi
per 130 miliardi di euro. Questo se il Veneto fosse solo nella richiesta di
indipendenza, se invece aggregasse con se il Friuli Venezia Giulia e la
provincia di Trento (Bolzano, a quel punto, immaginiamo chiederebbe di tornare
all’Austria) si arriverebbe a 190/200 miliardi di euro, considerando che Friuli
e Trentino hanno un Pil per abitante leggermente più alto.
Questo
vorrebbe dire essere cinquantottesimi nella classifica mondiale per Pil;
lontanissimi dal G-20 e in “competizione” con la Repubblica Ceca. Saremmo
davanti, tutto il Nordest, a Paesi come Romania, Ungheria, Croazia, Slovenia ed
a tutte le tigri baltiche.
Saremmo
davanti anche al Portogallo (che
fa di Pil poco più di 160 miliardi di euro) ed alla Grecia (attorno ai 190 miliardi), ma lontani
dall’Austria che viaggia sui 300 miliardi.
Considerando
che i Paesi con Pil rendicontato sono circa 190, possiamo dire che non
butterebbe malissimo.
Debito pubblico. Difficile pensare ad un distacco formale da Roma senza accollarci la nostra parte di debito pubblico (siamo sui 2100 miliardi di euro, il 130% circa del pil nazionale). Come calcolarlo? Valutare bene per bene non è cosa semplice, partiamo da un conteggio più facile dividendo il debito per abitante. Ebbene, il Veneto dovrebbe accollarsi170 miliardi; il Nordest poco più di 230.
Vorrebbe
dire che la Repubblica italiana, d’un botto, porterebbe il suo rapporto attorno
al 92-93% - un vero affare! -
mentre Veneto e Nordest partirebbero con un debito maggiore del Pil di
circa 25 punti.
Come
pagarlo?
Un
piano di ammortamento decennale a colpi di venti miliardi l’anno lo
azzererebbe, ma siccome nessuno è obbligato ad andare sotto quota 60% (quello
che chiede l’Ue, vorrebbe dire che bisogna rientrare di almeno 93 miliardi, e in dieci anni vuol dire
pagare rate mensili da 7/800 milioni di euro, pari appunto a poco più di 9
miliardi l’anno.
Soltanto
il Veneto paga di tasse 72 miliardi, che rientrano come versamenti e pagamenti
statali per circa 50. Resterebbe un free-capital nominale di circa 20 miliardi
l’anno.
Vorrebbe
dire che i primi dieci, difficili anni, di indipendenza da Roma brucerebbero il
50% del gap attuale fra pagamenti e incassi fra Venezia e Roma.
Oggi
il bilancio regionale viaggia sui 13,5 miliardi (la spesa più grossa è la
sanità che ne brucia quasi nove), ma con 72-75 miliardi di ricavi annui di cose
se ne farebbero tantine, anche pagando quote annuali importanti del vecchio
debito nazionale.
Attenzione
però: Venezia, e immaginiamo sempre con lei Friuli Venezia Giulia e Trento,
dovrebbero automaticamente investire nella propria difesa nazionale (costa
all’Italia tutta 20 miliardi l’anno, fanno 327 euro a testa l’anno, per il
Nordest marciano che di abitanti fa 6.7 milioni vuol dire spendere più di due
miliardi), nella sicurezza, ordine pubblico, amministrazione giudiziaria,
welfare, diplomazia e via via tutte le cose che uno Stato fa.
Quanto
inciderebbero? Non poco, certamente.
Quindi
del free-capital di cui sopra resterebbe probabilmente poco.
Resta
una grande incognita: come si gestisce la fuoriuscita dall’Italia?
La Commissione europea ha già fatto sapere a Barcellona ed a Edimburgo che se diventano indipendenti vanno automaticamente fuori dall’Unione. Potranno poi però fare una nuova domanda di ammissione che dovrà essere accolta da tutti – tutti - gli altri Stati membri. E quindi basterà il singolo voto di Italia, e/o della Spagna, e/o del Regno Unito per non accogliere i nuovi Stati nell’Unione.
Ora
è vero che fa ridere un’Europa senza Catalogna, Scozia e Triveneto ma dalla
Jugoslavia in poi (sino in Crimea) di idiozie fatte in nome del più disparato
ultranazionalismo ne abbiamo viste tante, anzi troppe. Fuori dall’Europa vuol
dire fine della libera circolazione delle persone e delle merci, dazi che
colpirebbero l’export veneto e magari la perdita di buona parte del mercato
domestico, ovvero l’Italia.
Ed
è questa, il mercato spagnolo, la leva che gli industriali catalani usano col
governo Mas di Barcellona per evitare strappi e rotture: senza il resto della
Spagna una Catalogna ora gigante economico potrebbe tornare alla desolazione
degli Anni Quaranta. Anche gli industriali stranieri in Catalogna, molti i
tedeschi, si son fatti avanti per dire che loro, fuori dalla Ue, non ci
vogliono stare e quindi, nel caso, chiuderebbero tutto.
Allora?
Non se ne fa nulla? Ognuno fa le considerazioni che crede. Ma sembrava
interessante farci sopra due conti. Così tanto per vedere.
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