giovedì 15 giugno 2017

D’ora in poi, guai a chiamarlo latte!




Inganna i consumatori e fa chiudere le stalle la confusione generata dall’uso della parola latte per bevande vegetali, come quello alla soia, che hanno raggiunto in Italia un valore al consumo di 198 milioni di euro con un incremento del 7,4% nell’ultimo anno. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente il pronunciamento della Corte di Giustizia europea sul fatto che "i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come 'latte', 'crema di latte' o 'panna', 'burro', 'formaggio' e 'yogurt', che il diritto dell'Unione riserva ai prodotti di origine animale", anche se “tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l'origine vegetale del prodotto in questione". “E’ positivo - aggiunge il direttore di Coldiretti Venezia, Giovanni Pasquali - che vi sia più chiarezza per i consumatori, aspetto che sicuramente aiuta a salvaguardare le nostre aziende zootecniche con produzione lattiero casearia, nel veneziano oltre duecento, che sono impegnate su più fronti per garantire i requisiti di qualità e rispetto delle stringenti norme igienico sanitarie.”

Da ora in poi i prodotti vegetariani e vegani – sottolinea la Coldiretti - non potranno pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta. Si riconosce dunque – sottolinea la Coldiretti - il valore delle norme europee che impediscono di chiamare latte ciò che non è di origine animale tranne specifiche eccezioni. Quello che oggi chiamiamo “latte di soia” è una bevanda molto antica, nata probabilmente in Cina, che si ottiene dalla macinazione dei semi di soia in acqua con proprietà nutrizionali e organolettiche – continua la Coldiretti - completamente differenti dal latte di origine animale. Un discorso che - precisa la Coldiretti - si estende anche ai derivati come burro, yogurt, formaggi e panna che non possono essere ottenuti con prodotti vegetali.

Un mercato spinto dalle intolleranze ma alimentato anche dalle fake news diffuse in rete secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita. In realtà il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte. Il filone di pensiero che ritiene opportuno bandire i latticini dall’alimentazione poggia sul China Study, un’indagine epidemiologica svolta a partire dal 1983 in Cina, i cui risultati sono stati ritenuti inattendibili dalla comunità scientifica e dall’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. Si tratta di un tassello in più verso una sempre maggiore chiarezza- commenta il presidente di Coldiretti Venezia Iacopo Giraldo- se i consumi di latte e derivati diminuiscono a causa di allarmismi e fake news è nostro compito difendere la nostra produzione agricola, condividendo questo percorso di trasparenza con i consumatori per loro diretto interesse”.

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