Le vie del Signore sono infinite, quelle di sua moglie ancora di
più. E infatti, è grazie a una donna che, nel 1785, la popolazione
di Parigi venne a conoscenza degli sperperi che si compivano presso
la corte di Luigi XVI, mentre la gente moriva di fame nelle strade.
Durante il processo per truffa passato alla storia come lo Scandalo della Collana, Giovanna de la Motte spifferò ai magistrati che i
dipendenti della corte del re ammontavano a 14.000, Luigi spendeva
cifre astronomiche per i cavalli e i cani con cui andava a caccia,
che gli stipendi degli sfaccendati che gli ronzavano attorno erano
altissimi, compresi quelli di chi era addetto all’accensione e
allo spegnimento delle candele, dei segretari incaricati di portare
messaggi d’amore alle cortigiane e gli inviti alle feste, dei
guardiacaccia delle tenute, dei sarti e dei parrucchieri. Per tacere
di coloro che godevano di pensioni stratosferiche. Vi ricorda
qualcosa? Giovanna de la Motte fu condannata ad essere frustata,
marchiata a fuoco e a finire i suoi giorni in manicomio, giacché la
truffa aggravata c’era stata, ma tanto per fare un parallelo con i
nostri tempi, gli uscieri del parlamento italiano guadagnano 10.000 euro al mese, stipendi non dissimili da quelli degli stenografi, dei
barbieri e degli addetti alla buvette. Le pensioni dei senatori a
vita partono da 20.000 euro al mese in su. E mi fermo qui. Quattro
anni dopo, nel 1789, a Parigi successe quel che successe. Se gli
italiani avessero sangue francese nelle vene, comincerebbero già ora a
costruire le ghigliottine, ma la Storia non si fa con i se e non si
può cavar sangue dalle rape.
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