Fonte: La legge per tutti
Dati alla mano, sono ormai pochi
– pochissimi – gli italiani che non hanno un conto
corrente personale.
Anche in favore dei minori d’età si aprono spesso depositi postali
o bancari: è finita l’era degli investimenti in sterline
d’oro o
in oggetti
preziosi (sul
presunto valore che gli stessi potrebbero conservare nel tempo e che,
invece, molto spesso ha fatto registrare dei flop clamorosi,
come il mercato delle opere d’arte). Il denaro è
anche la ricchezza mobile più facilmente liquidabile in momenti di
crisi come questo. Dunque, non stiamo a discutere: salvo il fatto che
il materasso è stato sostituito dalla banca, per il resto il
deposito resta l’àncora più sicura per il risparmiatore. Tuttavia il conto
corrente presta
il fianco a diversi problemi. Il fisco,
innanzitutto: che attraverso un monitoraggio quotidiano (reso
possibile dall’Anagrafe
tributaria e
dall’Anagrafe dei
conti) è in grado
di sapere dove abbiamo
il deposito, qual è il suo saldo e quali sono le movimentazioni in
entrata e uscita. A non essere in grado di giustificare prelievi e
versamenti si rischia l’imputazione degli stessi a ricavi
in nero (evasione
fiscale). Con conseguente applicazione di esose
tasse e sanzioni.
Chi ha subìto un accertamento dall’Agenzia delle Entrate ne sa
qualcosa.
Non è tutto. Il peggio è che
il conto corrente è trasparente anche ai creditori.
Ad Equitalia soprattutto,
che può consultare le predette banche dati (le due Anagrafi) per
avere un’idea di dove pignorare. Ma anche le banche ne
sanno quanto una intelligence.
E per i privati c’è
sempre la carta delle agenzie
investigative che
qualcosa dal cilindro la tirano sempre fuori.
Una volta “scoperto”, il
conto corrente è facilmente aggredibile con il
cosiddetto pignoramento
presso terzi,
proprio come un’auto lasciata con le chiavi attaccate sul
cruscotto.
Esistono degli espedienti che
consentono di “salvare il salvabile” ed evitare, così, di
perdere davvero tutto.
Ovviamente questo articolo non è un’incitazione a frodare i
creditori né tantomeno un invito a non pagare i debiti. Al di là,
infatti, del titolo puramente provocatorio (poiché, alla fine, di
persone che danno “consigli” su come frodare i creditori ce ne
sono a bizzeffe), abbiamo piuttosto deciso di tracciare uno
spaccato, a titolo informativo, dei “trucchetti” (formalmente
leciti) usati spesso dagli italiani per poter sfuggire alle grinfie
di Equitalia o
di qualche banca.
Ed allora, vediamo cosa la pratica
quotidiana ha registrato in questi anni.
1 | Chiedi l’apertura
di credito e lascia il conto in rosso ma nei limiti del fido
Un conto in cui non c’è
niente non può essere pignorato (questo è ovvio). Ma non può
neanche essere utilizzato dal titolare. C’è però una via di mezzo
che consente di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Con
il contratto di
apertura di credito (cosiddetto
“fido”),
il correntista ottiene dalla banca la possibilità di prelevare dal
proprio conto, non solo le somme che vi ha depositato, ma anche una
somma ulteriore che gli viene prestata di volta in volta
dall’istituto di credito. In tal modo, il saldo resta formalmente
“negativo”, ma è un debito autorizzato in anticipo dalla banca.
L’importante è non sforare il limite concordato in contratto. Per esempio:
se il correntista ha un conto con una provvista di cinquecento euro e
un fido di mille, può prelevare dal conto tutto ciò che vi ha
depositato (500 euro, appunto) e, oltre a ciò, altre mille euro. Se
non supera questo limite la banca non gli chiederà di rientrare nel
debito (almeno finché dura il fido).
Ogni successivo versamento che il
correntista riceverà sul conto andrà a ripristinare prima il fido
scoperto con la banca e poi, eventualmente, la normale provvista,
portando il saldo in “positivo”.
Dunque, se arriva un pignoramento in
banca, il creditore non troverà alcunché da “bloccare”,
nonostante il correntista abbia fino ad allora utilizzato liberamente
il conto.
I problemi di
questo sistema sono due:
a) normalmente l’apertura di credito
viene concessa a chi ha un’attività commerciale o professionale o,
comunque, offre idonee garanzie di solvibilità (il fido, infatti, è
un prestito a tutti gli effetti);
b) qualora dovesse intervenire un
pignoramento, non si potrebbe più utilizzare il fido, cosicché il
conto sarebbe di fatto definitivamente bloccato.
2 | Preleva tutti i
giorni dal conto
Nulla vieta di prelevare i soldi dal
conto corrente – per esempio, quelli che vengono versati
mensilmente dal datore di lavoro per lo stipendio o dall’Inps per
la pensione – e poi depositarli in un altro conto, intestato questa
volta a un familiare. In tal modo, il primo conto sarà sempre a
saldo “0” e il pignoramento non troverà consistenze da
pignorare. Dall’altro lato, il secondo conto
non potrà mai essere pignorato perché formalmente intestato a un
altro soggetto.
I problemi di
questo sistema due:
a) è sempre necessario redigere e
firmare una scrittura privata (meglio se registrata) con il soggetto
a cui è intestato il conto “beneficiario” dei versamenti: e ciò
sia per evitare problemi con il fisco (che potrebbe chiedere al
familiare da dove provengano tali redditi), sia per escludere che
quest’ultimo, un giorno, rivendichi la proprietà delle somme;
b) portare a “0” il conto corrente
non salverà i successivi versamenti del datore di lavoro o della
pensione. Questi, infatti, verranno “bloccati” in automatico
dalla banca non appena arriverà il pignoramento, in una misura pari
alla somma pignorata (ossia il debito, le spese e gli interessi
aumentati della metà: per esempio, per un debito complessivo di 500
euro si può pignorare il conto corrente per 750 euro, ossia 500 + ½
di 500).
3 | Cointesta il conto
corrente con un familiare
Il conto corrente cointestato non può
essere pignorato per intero, ma nei limiti del 50%. E questo è il
primo indiscutibile vantaggio.
Inoltre, nel caso di conto
cointestato, Equitalia non può attivarsi con la procedura “speciale”
che le consente di bloccare il 100% conto senza passare dal tribunale
e, quindi, senza l’udienza di assegnazione delle somme. Infatti, il
conto bancario o postale cointestato rientra
tra i cosiddetti “beni comuni indivisi” la cui espropriazione può
avvenire solo davanti a un giudice il quale è tenuto a controllare
la regolarità delle operazioni di divisione.
La diversità di disciplina si
giustifica per il fatto che, se Equitalia procedesse secondo la
normale riscossione esattoriale, finirebbe per pignorare
l’intero conto,
il cui 50%, però, appartiene a un soggetto diverso, che non è
debitore.
Al contrario Equitalia deve
provvedere secondo le norme del codice di procedura civile valide per
tutti i pignoramenti
presso terzi: ossia
con citazione a un’udienza davanti al tribunale. La banca, prima
dell’udienza, invierà una lettera al creditore in cui gli
indicherà le somme presenti in conto.
A questo punto solo dopo
la divisione
del bene comune,
ossia il conto corrente, il giudice potrà autorizzare l’assegnazione
del 50% del conto (o della somma pignorata).
La Cassazione inoltre ha avuto
più volte modo di chiarire che [1] nel
conto corrente bancario cointestato a più persone, le parti di
ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali –
cioè al 50% – se non risulta diversamente.
4 | Apri un conto di
riserva ma con un’altra banca
C’è ancora una via di salvezza.
Avere un secondo conto consente, qualora intervenga un pignoramento
su quello principale, di far affluire tutti i successivi pagamenti in
quest’ultimo deposito, lasciando di fatto all’asciutto quello che
è stato bloccato (meglio se, nel frattempo, è usata la precauzione
numero 2).
È importante che il conto di
emergenza sia instaurato con una seconda banca: infatti il
pignoramento del conto viene notificato alla banca come soggetto
unitario, invitandola a bloccare le somme presenti sul conto,
qualsiasi esso sia, quindi ogni somma di denaro, crediti,
corrispettivi, trattenute, conti correnti, depositi azionari ed
obbligazioni, titoli di Stato e qualsivoglia altro bene fruttifero e
non, intestato al debitore, fino alla concorrenza del credito
pignorato.
5 | Dimostra che sul
conto depositi solo lo stipendio o la pensione
Il tema è delicato e presuppone
una premessa che ormai è a tutti nota. Con l’obbligo, imposto
dalla legge, di accreditare le pensioni superiori
a mille euro in un conto
corrente, il
creditore può arrivare a pignorare ben oltre il limite di un quinto
(imposto dal codice civile): e ciò perché, secondo la
giurisprudenza, una volta che le somme sono depositate in banca,
confondendosi con gli altri risparmi e ricavi, possono essere
pignorate al 100%.
Lo stesso discorso dicasi per
gli stipendi,
che ormai vanno pagati sempre con strumenti tracciabili e, quindi, di
norma con accredito sul conto.
Per evitare, allora, che il
creditore – massimamente Equitalia,
che sa bene dove depositiamo i soldi – blocchi tutto lo stipendio
(perché depositato in conto) e non solo il quinto (come invece
dovrebbe essere), si deve evitare di movimentare il conto corrente
con versamenti diversi da quelli della pensione o dello stipendio.
Stando infatti a una sentenza del tribunale di Savona,
si può impedire che Equitalia – o qualsiasi altro creditore –
pignori tutto il conto corrente del pensionato o del dipendente
qualora questi riesca a dimostrare al giudice che, all’attivo del
conto, vi confluiscono solo la pensione o lo stipendio. In tal caso,
è possibile far applicare la regola generale in base alla quale la
pensione o lo stipendio non possono essere pignorati fino al minimo
vitale (525,89
euro) e, per la residua parte, solo nei limiti di un
quinto.
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