Fonte: Il Foglio
"Recentemente sono
stato in Israele nel quadro di un programma di studio all’estero
dell’American University di Washington”, scrive Diliman
Abdulkader. “In quanto studente di un master focalizzato su
pace e risoluzione dei conflitti e in quanto curdo originario
dell’Iraq settentrionale, ero molto incuriosito dall’intensa
ostilità verso gli ebrei così diffusa in medio oriente, dal
pregiudizio negativo nei principali mass-media e dalle continue
conferenze e iniziative antiebraiche nei campus universitari,
compreso il mio. Il viaggio in Israele è stato unico.
Sono riuscito ad arrivarci dalla regione autonoma del Kurdistan.
Partendo dall’aeroporto internazionale Sulaymaniyah, nel Kurdistan
iracheno, sono stato salutato fra i sorrisi dei miei compagni curdi
senza alcuna vergogna, nonostante il fatto che un viaggio in Israele
sia un vero tabù per i mediorientali. Il mio primo incontro con un
israeliano è stato quello con il tassista che mi ha portato
all’hotel. Era un tipo dalla conversazione vivace e idee politiche
pragmatiche. Ha detto che non gli importa in che religione si crede,
che vuole solo vivere in pace.
Ho sondato il terreno dicendogli che
sono curdo e lui si è dimostrato entusiasta. A Tel Aviv sono rimasto
poco tempo, poco più di una settimana. Ma quello che mi ha offerto
quella città era per me senza precedenti, soprattutto in Medio
Oriente. E’ moderna, piena di giovani israeliani che si godono le
spiagge, i locali, i ristoranti. Ha anche spessore storico e varietà
di popolazione. Ho visto musulmani ed ebrei mescolati fra loro,
moschee che chiamavano alla preghiera, famiglie arabe che
trascorrevano il tempo libero sulle spiagge una volta finito il
digiuno di Ramadan. Nessuno si preoccupava della presenza di altri
diversi, ognuno si faceva i fatti propri. Ho cercato attentamente di
cogliere casi di interazioni negative tra i due popoli, ma niente da
fare: fumavano pure il narghilè insieme nei caffè del posto.
Naturalmente ho ipotizzato che Tel Aviv fosse una sorta di bolla a
parte, lontana dalla realtà di cui ci parlano ogni giorno stampa e
tv. Così, insieme ai miei compagni di corso, abbiamo fatto una gita
in autobus a Gerusalemme. Abbiamo visitato l’Università Ebraica,
dove avremmo studiato per il resto del tempo. Ancora non riuscivo a
capacitarmi e a far coincidere quello che vedevo con l’immagine che
ne danno nel mondo arabo e sui media di più larga diffusione.
Durante la mia permanenza a Gerusalemme ho avuto l’opportunità di
parlare con abitanti comuni e rappresentanti eletti, arabi ed ebrei,
nelle caffetterie, nei ristoranti, nei bar, nel quartiere musulmano,
alla Knesset, nel shuk (bazar) e così via.
Le mie interazioni con i palestinesi
si sono svolte nel quartiere musulmano, nei ristoranti del posto e
nelle sale da tè: sempre con uomini, giacché parlare con le donne
viene mal visto. Entravo nella Città Vecchia attraverso la Porta di
Damasco, anche se ero stato avvertito che era un luogo dove in quel
periodo avvenivano aggressioni all’arma bianca. Pensavo tra me e
me: ‘Non avrò problemi, sono di Kirkuk, una città molto più
pericolosa’. Ho visto anche il famoso muro costruito a ridosso dei
territori palestinesi. Ne ho ricavato sensazioni contrastanti. Ma
avendo sperimentato personalmente la guerra e i campi profughi ad
opera di governi arabi, del presidente siriano Bashar Assad e dell’ex
capo iracheno Saddam Hussein, un alleato dei palestinesi, ho pensato
che, sebbene non sia la soluzione ideale per nessuna delle due parti,
incolumità e sicurezza sono comunque meglio del terrorismo.
Una conversazione che mi è rimasta
impressa è stata quella con un soldato di poco più di vent’anni
in uniforme delle Forze di difesa israeliane. L’ho avvicinato
mentre era seduto da solo a pranzare, e lentamente sono passato dai
convenevoli banali a discorsi più seri. Era orgoglioso di servire il
suo paese ed era pronto a difenderlo, sia a parole che in senso
letterale. Non era affatto un ‘duro’, semplicemente uno che ama
la sua nazione. Era curioso di sapere da dove venivo. Quando ho
risposto dal Kurdistan, ha scosso il capo tristemente convenendo che
siamo senza uno stato, e mi ha ringraziato per la nostra gente che
combatte l’Isis in Siria e in Iraq. Abbiamo avuto il privilegio di
visitare la Knesset. Grazie al mio professore, che si è adoperato
per mantenere equilibrati gli incontri con i parlamentari, abbiamo
sentito le opinioni dall’estrema sinistra all’estrema destra e
tutte quelle in mezzo. Le osservazioni più sorprendenti sono state
quelle del parlamentare Taleb Abu Arar, della Lista Araba Comune, che
ha apertamente definito Israele un paese terrorista antidemocratico,
ha difeso Hamas e ha espresso fermo appoggio al presidente turco
Erdogan, ignorando le mie domande sui doppi standard applicati a
danno dei curdi in Turchia.
Pensavo fra me e me: ‘Definisci
Israele non democratico? Intanto hai un seggio alla Knesset, sostieni
apertamente Hamas e definisci terrorista il governo israeliano.
Interessante’. Purtroppo, l’ultima sera del programma, mentre
prendevo un caffè all’interno della Porta di Damasco, si è
verificato un attacco terroristico. Una soldatessa israeliana di nome
Hadas Malka, di soli 23 anni, è stata pugnalata e ha perso la vita
mentre veniva trasportata d’urgenza in ospedale.
Le porte sono state chiuse, la città
è stata messa in allarme e i palestinesi sono scesi per le strade a
protestare. Tel Aviv potrà essere nella sua bolla, ma Gerusalemme è
fragile. La gente vuole la pace da entrambe le parti. Bisogna solo
andare oltre quelli che fomentano il terrorismo. Israele non è il
film horror che ci raccontano dotti e televisioni. E’ semplicemente
un paese che si sforza di sopravvivere in una regione ostile”.
Il paese del bengodi mi trasferiro li, tutti vivono in pace nessun razzismo meta agognata da milioni di turisti immagino,non lo sapevo ! Ma LA fonte chi sarebbe Nome e cognome xche' mi sa che sia stata scritta questa testimonianza da un Levi o Ben o moses , il Foglio non era dell'ebreo Ferrara no xche' va bene che manco da un po ma deficente totale ancora non credo di esserlo.Tirano su dei muri di 750 km da tanto sono democratici giocheranno a badminton o a squash
RispondiEliminaFerrara non è più direttore.
EliminaSe capisce che è un testo apologetico.