Fonte: Corriere della sera
Si chiamava Eusébio, era un leader degli indios Ka’apor dell’Alto Turiaçu che lottava contro la deforestazione dell’Amazzonia nello Stato brasiliano del Maranhão. È stato assassinato il 26 aprile con colpi sparati nella schiena da due uomini incappucciati a bordo di una moto. «Non è la prima volta che i Ka’apor denunciano di aver ricevuto minacce dalle imprese responsabili della deforestazione», dice in una nota Greenpeace, rilevando che almeno «dal 2008 i Ka’apor chiedono interventi contro il taglio illegale, ma sono state condotte solo sporadiche operazioni e non appena gli ispettori se ne sono andati l’attività criminale è ripresa». Cleber César Buzatto, segretario esecutivo del Consiglio missionario indigeno di Maranhão (Cimi), il 30 aprile è intervenuto a New York al Forum permanente dell’Onu delle popolazioni indigene per denunciare l’omicidio.
A partire dal 2013,
«stanchi di aspettare l’intervento del governo, i Ka’apor hanno
iniziato un monitoraggio indipendente delle foreste, cacciando le
aziende coinvolte nel taglio illegale, ottenendo in cambio
rappresaglie, minacce e persecuzioni», aggiunge Greenpeace. «I
Ka’apor cercano di difendere il loro territorio, ma sono soli,
senza sostegno da parte del governo, che dovrebbe impegnarsi invece a
far rispettare la legge» afferma Madalena Borges, del Consiglio
missionario indigeno di Maranhão, secondo quanto riferito
dall’associazione ambientalista. I Ka’apor vivono
nello stesso territorio degli indios Awá, una delle etnie
amazzoniche più a rischio, di cui molti gruppi famigliari non hanno
ancora avuto contatti con il resto del mondo.
Lo scorso dicembre un Awá è stato ucciso dai deforestatori e una donna è morta di polmonite contratta dopo il primo contatto, secondo la denuncia di Survival International. L’industria del legname in Amazzonia è fuori controllo, denuncia Greenpeace. «Quello che incoraggia le imprese a rubare il legname dalle terre indigene è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi. Questo genera conflitti sociali e talvolta persino omicidi», commenta Chiara Campione, della Campagna foreste di Greenpeace Italia. La terra indigena dell’Alto Turiaçu ha perso dal 2012 44 mila ettari di foreste (8,07% dell’area) ed è la quinta zona indigena più colpita dalla deforestazione in Amazzonia.
Lo scorso dicembre un Awá è stato ucciso dai deforestatori e una donna è morta di polmonite contratta dopo il primo contatto, secondo la denuncia di Survival International. L’industria del legname in Amazzonia è fuori controllo, denuncia Greenpeace. «Quello che incoraggia le imprese a rubare il legname dalle terre indigene è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi. Questo genera conflitti sociali e talvolta persino omicidi», commenta Chiara Campione, della Campagna foreste di Greenpeace Italia. La terra indigena dell’Alto Turiaçu ha perso dal 2012 44 mila ettari di foreste (8,07% dell’area) ed è la quinta zona indigena più colpita dalla deforestazione in Amazzonia.
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