mercoledì 12 luglio 2017

Il paese della Kyenge sull'orlo della catastrofe


Fonte: Tempi

Hanno preso e massacrato l’intera popolazione del remoto villaggio di Cinq. Hanno ucciso donne, bambini e neonati con armi da fuoco, machete, perfino bruciandoli vivi. Hanno distrutto tutte le case e fatto irruzione in una clinica, sterminando medici e pazienti insieme. I crimini contro l’umanità di cui si sono macchiati il 24 aprile i miliziani di Bana Mura, in un contesto in cui è perfino difficile capire chi sono e per che cosa combattono, sono l’emblema della Repubblica democratica del Congo (RDC), un paese «sull’orlo della catastrofe» che sta per implodere a causa di gravissimi problemi politici, economici, etnici e sociali.


OLTRE 3.300 MORTI. Dall’ottobre del 2016 sono già morte più di 3.300 persone nella regione del Grande Kasai (che comprende tre province nel centro del paese) a causa degli scontri tra l’esercito congolese e i ribelli di Kamwina Nsapu. Il gruppo si sarebbe rivoltato già nel 2011, dopo il rifiuto da parte del governo di riconoscere l’autorità di Jean Pierre Mpandi, nuovo capo di un clan locale. Si pensa che il rifiuto sia stato dettato dalla mancata iscrizione di Mpandi al partito di governo. Quando nell’agosto del 2016 Mpandi è stato ucciso dalla polizia, le violenze sono deflagrate diffondendosi in modo incontrollato.


NEONATI FUCILATI. Secondo un rapporto diffuso settimana scorsa dalla Nunziatura apostolica a Kinshasa, capitale della RDC, migliaia di morti sono stati trovati in 42 fosse comuni, 20 villaggi completamente distrutti (almeno 10 dall’esercito) e tra le rovine di quasi 4 mila case rase al suolo. Le violenze confermate dall’Onu sono raccapriccianti: si parla di bambini di due anni a cui sono stati amputati gli arti con machete, neonati fucilati, donne incinte sventrate a metà con armi da taglio. Molti di questi crimini sono stati appunto commessi da Bana Mura, milizia che secondo l’Onu si è costituta da poco per combattere i ribelli di Kamwina Nsapu ed è armata e finanziata dall’esercito regolare congolese.

GLI SCONTRI SI ESTENDONO. A causa delle violenze 1,3 milioni di persone sono fuggite dal Grande Kasai e circa 400 mila bambini sono a rischio malnutrizione. Cattive notizie arrivano anche da Beni, nella provincia del Nord Kivu (est del paese) dove gruppi ribelli, spesso stranieri, interessati alle enormi risorse del paese (abbondano oro, legname, coltan, cassiterite) stanno approfittando del caos generale per conquistare terreno.

ATTACCO ALLA CHIESA CATTOLICA. Anche la Chiesa cattolica ha subito danni ingenti nella regione: quattro circoscrizioni ecclesiastiche sono state colpite, altre due diocesi marginalmente coinvolte, due vescovi sono stati costretti all’esilio dopo la distruzione delle sedi episcopali, 60 le parrocchie chiuse o danneggiate, 34 le case religiose chiuse o distrutte, 141 le scuole danneggiate, 31 le cliniche colpite, cinque i seminari abbandonati.
Se la Chiesa cattolica è stata colpita così duramente non è un caso, visto il ruolo che sta faticosamente svolgendo per risolvere la crisi politica che da anni destabilizza il paese e che è alla radice anche delle violenze dell’ultimo anno. La RDC infatti è dominata dalla famiglia Kabila fin dal 1997, quando Laurent Kabila (foto) è riuscito con un colpo di Stato a deporre il dittatore Mobutu Sese Seko. Assassinato nel 2001, a Laurent è succeduto il figlio Joseph Kabila, che governa da allora violando il limite massimo di mandati imposto dalla Costituzione.


ACCORDO DI SAN SILVESTRO. L’anno scorso Kabila ha accettato di abbandonare il potere e le elezioni erano inizialmente previste per novembre. Alla vigilia del voto, però, la commissione elettorale ha dichiarato di non potere indire le elezioni perché «il numero dei votanti è sconosciuto». Sono seguite violente proteste di piazza, che l’esercito ha cercato di spegnere facendo decine di morti, sedate infine grazie all’intervento dei vescovi che hanno supervisionato la firma tra governo e opposizione dell’Accordo di San Silvestro: il testo, siglato il 31 dicembre 2016, prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale per portare il paese a votare entro la fine del 2017. A maggio però l’accordo ha subito un duro colpo: Kabila ha formato sì un governo, ma solo con una parte dell’opposizione, e a sei mesi dalla fine dell’anno non ha ancora fissato la data ufficiale delle elezioni generali.

EVASIONI DI MASSA. L’instabilità ha minato l’autorità e la funzionalità del governo. Non è un caso se a maggio sono riusciti a scappare da un carcere della capitale 4.000 detenuti, tra banditi e miliziani, la più grande fuga nella storia del paese. Due giorni dopo, altri 70 hanno infranto le sbarre di una seconda prigione. Sulle strade mal ridotte del paese si moltiplicano i posti di blocco illegali che costringono le auto a pagare pedaggi illegittimi nella più totale impunità. i principali dicasteri mancano di fondi e lo stato della corruzione già dilagante si è ulteriormente aggravato.


EVITARE LA GUERRA CIVILE. In questa situazione esplosiva, il popolo congolese ha preso una posizione chiara: secondo un recente sondaggio, l’83% vuole votare entro fine anno ma il timore è che il presidente Kabila stia fomentando gli scontri per rimanere al potere. «Gruppi stranieri stanno operando nel nostro paese», è la denuncia pubblicata dai vescovi lunedì al termine di un’Assemblea plenaria. «I politici moltiplicano le iniziative per svuotare l’Accordo del suo contenuto, minando così la tenuta di elezioni libere, democratiche e pacifiche. Le recenti evasioni di massa restano tuttora dei grandi punti interrogativi», scrivono facendo intendere che potrebbe trattarsi di un piano funzionale a gettare nel caos il paese. Il 30 giugno la RDC festeggia l’anniversario dell’indipendenza nazionale e la Chiesa ha invitato fedeli e uomini di buona volontà «a una giornata di digiuno e preghiera per la nazione», per evitare che sprofondi in una nuova guerra civile.

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