lunedì 17 luglio 2017

Il sangue non è acqua


Fonte: Libero

Vi hanno navigato Ulisse, Cristoforo Colombo, i greci e i romani. Da culla della civiltà il Mediterraneo è diventato la sua tomba, tingendosi di rosso per le centinaia di migliaia di uomini, di donne e di bambini che in quelle acque continuano a perire. Sono oltre 2000 solo dall’inizio di quest’anno i morti in mare, un bollettino di guerra che continua ad allungarsi. Senza sosta. Di chi è la responsabilità? Forse è di coloro che hanno alimentato in queste 2000 anime l’aspettativa che sarebbe bastato pagare i trafficanti di uomini, salire in massa su un misero gommone cinese «usa e getta», allontanarsi dalla costa libica, per essere, da lì a breve, salvati e portati in Italia godendo per anni di ogni genere di privilegio. Le partenze sono aumentate da quando le ONG, la scorsa estate, sono arrivate nel Mediterraneo, questa zona franca in cui l’unica legge ammessa è quella di chi non rispetta la legge, collaborando sfacciatamente con gli scafisti, ossia quei delinquenti, legati alle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, che vendono illusioni a caro prezzo e che, grazie al supporto offerto dalle ONG, che permangono sul filo delle acque territoriali pronte a fungere da traghetto per l’Europa, abbandonano alla deriva i gommoni carichi di esseri umani quando ancora sono in acque libiche, per evitare il rischio di essere arrestati e portati in Italia dalla nostra marina militare. 



Il termine «connivenza» non è sufficiente per descrivere il ruolo delle ONG, che, da un lato, trattano i nostri militari alla stregua di banditi e, dall’altro, comunicano con i criminali che in Libia gestiscono il business di questa nuova tratta dei neri, migranti economici, verso l’Europa. Il castello di buone intenzioni si sgretola davanti a questo sodalizio di successo, sebbene puzzolente di marcio: possiamo davvero fidarci di chi favorisce i traffici illeciti di personaggi di così elevata caratura criminale, insomma, possiamo mai credere a chi si rende complice delle mafie, dell’Isis, dei trafficanti? No. Noi non ci fidiamo. E non si fidano neanche i giovani europei di Generazione Identitaria, che la prossima settimana, nell’ambito della missione indipendente Defend Europe, prenderanno il largo da Catania, a bordo della nave di 40 metri C-Star da loro noleggiata attraverso una raccolta di fondi per difendere un bene che ancora ci appartiene: la nostra Europa. La nostra civiltà. «Il nostro movimento nasce con l’intento di tutelare il nostro patrimonio culturale. Ci preoccupano il futuro e i nuovi problemi di sicurezza che stanno emergendo nelle nostre metropoli europee. La maniera migliore per tutelarci è la consapevolezza, ma sembra mancare persino da parte dei nostri governi. 

Noi non ci definiamo di estrema destra, ma ci opponiamo a quel tipo di sinistra che si sta rendendo complice del disastro europeo. Ne consegue che automaticamente veniamo etichettati come populisti, xenofobi, razzisti», ci ha spiegato Gianmarco Concas, ex ufficiale di marina, responsabile tecnico della missione, che ha specificato che l’obiettivo di Generazione Identitaria è ostacolare le ONG nell’assoluto rispetto delle convenzioni marittime. «Soccorrere chi è in difficoltà in mare è un dovere. Ma chi viene soccorso deve essere portato nel porto più vicino, quindi in Libia o in Tunisia», ha aggiunto Concas. Scopo della missione è quello di raccogliere informazioni, trasmettendole a chi di dovere. Dunque, i volontari di GI si propongono di collaborare con la guardia costiera italiana, al contrario delle ONG, che hanno assunto da subito un ruolo antagonista e avverso nei confronti dell’autorità. «Non saremo noi sulla nave a infrangere la legge», ha dichiarato il responsabile.

La stampa tutta li ha dipinti come fascisti, razzisti, gioventù bruciata, personaggi di estrema destra, che hanno l’obiettivo di portare violenza e morte in un mare Mediterraneo anche troppo flagellato. Essi invece sono tutt’altro: ragazzi come noi, volontari, mossi dall’amore e non dall’odio, dal desiderio di verità e di giustizia, che non riescono a stare immobili davanti ad uno Stato che fa spallucce e che non sa che pesci prendere, mentre i suoi confini piano piano svaniscono ed il suo territorio viene invaso senza nessun tipo di controllo da masse di persone di cui non sappiamo nulla, provenienti da un territorio, quello libico, in cui l’Isis ha di recente potenziato le sue basi e creato i suoi campi di addestramento. Sono ragazzi che proprio non ci stanno ad assistere indifferenti al declino di una civiltà che sventola bandiera bianca già da un pezzo. Essi non credono alle belle favole che sono state loro raccontate e si assumono persino il rischio di perdere la vita per i valori in cui credono. 

Sì, perché navigare nel Mediterraneo, arrivare e sostare lì, in quel maledetto punto, tra le acque libiche ed il mare aperto, comporta numerosi rischi, soprattutto per coloro che si oppongono ad un sistema criminale privo di scrupoli, diventato potentissimo, il quale si estende dalla Libia, ormai roccaforte dell’Isis, al mare aperto. Lì è in atto una guerra, una vera e propria guerriglia tra trafficanti e guardia costiera libica, con proiettili vaganti che ti possono stroncare in un attimo. Muori e non te ne sei neanche accorto. Ecco perché questi giovani sono i nostri eroi, una speranza che si è di nuovo accesa per il futuro: il domani del vecchio continente, forse un po’ stanco, fiacco, inerme e paralizzato, ma ancora vivo. Si può risorgere dalle proprie ceneri.


Mentre i governi degli Sati membri dell’Unione Europea si sono rivelati incapaci di realizzare un’efficace azione congiunta e di collaborare per il bene comune, questi giovani francesi, tedeschi e italiani hanno dato vita ad un’intesa vera, basata su valori condivisi, su un sentire diffuso e sulla consapevolezza di un’identità comune. Elemento quest’ultimo che invece è mancato nel processo di integrazione e la cui lacuna ha segnato l’attuale dis-integrazione nonché il declino di quella che non è mai diventata un’Unione di popoli, ma che si è trasformata in una congregazione di interessi particolari nella quale i cittadini europei non si riconoscono.

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