Fonte: Libero
Vi hanno navigato Ulisse, Cristoforo Colombo, i greci e i romani.
Da culla della civiltà il Mediterraneo è diventato la sua tomba,
tingendosi di rosso per le centinaia di migliaia di uomini, di donne
e di bambini che in quelle acque continuano a perire. Sono oltre 2000
solo dall’inizio di quest’anno i morti in mare, un bollettino di
guerra che continua ad allungarsi. Senza sosta. Di chi è la
responsabilità? Forse è di coloro che hanno alimentato in queste
2000 anime l’aspettativa che sarebbe bastato pagare i trafficanti
di uomini, salire in massa su un misero gommone cinese «usa e
getta», allontanarsi dalla costa libica, per essere, da lì a breve,
salvati e portati in Italia godendo per anni di ogni genere di
privilegio. Le partenze sono aumentate da quando le ONG, la scorsa
estate, sono arrivate nel Mediterraneo, questa zona franca in cui
l’unica legge ammessa è quella di chi non rispetta la legge,
collaborando sfacciatamente con gli scafisti, ossia quei delinquenti,
legati alle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, che
vendono illusioni a caro prezzo e che, grazie al supporto offerto
dalle ONG, che permangono sul filo delle acque territoriali pronte a
fungere da traghetto per l’Europa, abbandonano alla deriva i
gommoni carichi di esseri umani quando ancora sono in acque libiche,
per evitare il rischio di essere arrestati e portati in Italia dalla
nostra marina militare.
Il termine «connivenza» non è sufficiente
per descrivere il ruolo delle ONG, che, da un lato, trattano i nostri
militari alla stregua di banditi e, dall’altro, comunicano con i
criminali che in Libia gestiscono il business di questa nuova tratta
dei neri, migranti economici, verso l’Europa. Il castello di buone
intenzioni si sgretola davanti a questo sodalizio di successo,
sebbene puzzolente di marcio: possiamo davvero fidarci di chi
favorisce i traffici illeciti di personaggi di così elevata caratura
criminale, insomma, possiamo mai credere a chi si rende complice
delle mafie, dell’Isis, dei trafficanti? No. Noi non ci fidiamo. E
non si fidano neanche i giovani europei di Generazione Identitaria,
che la prossima settimana, nell’ambito della missione indipendente
Defend Europe, prenderanno il largo da Catania, a bordo della nave di
40 metri C-Star da loro noleggiata attraverso una raccolta di fondi
per difendere un bene che ancora ci appartiene: la nostra Europa. La
nostra civiltà. «Il nostro movimento nasce con l’intento di tutelare il nostro
patrimonio culturale. Ci preoccupano il futuro e i nuovi problemi di
sicurezza che stanno emergendo nelle nostre metropoli europee. La
maniera migliore per tutelarci è la consapevolezza, ma sembra
mancare persino da parte dei nostri governi.
Noi non ci definiamo di
estrema destra, ma ci opponiamo a quel tipo di sinistra che si sta
rendendo complice del disastro europeo. Ne consegue che
automaticamente veniamo etichettati come populisti, xenofobi,
razzisti», ci ha spiegato Gianmarco Concas, ex
ufficiale di marina, responsabile tecnico della missione, che ha
specificato che l’obiettivo di Generazione Identitaria è
ostacolare le ONG nell’assoluto rispetto delle convenzioni
marittime. «Soccorrere chi è in difficoltà in mare è un dovere.
Ma chi viene soccorso deve essere portato nel porto più vicino,
quindi in Libia o in Tunisia», ha aggiunto Concas. Scopo della
missione è quello di raccogliere informazioni, trasmettendole a chi
di dovere. Dunque, i volontari di GI si propongono di collaborare con
la guardia costiera italiana, al contrario delle ONG, che hanno
assunto da subito un ruolo antagonista e avverso nei confronti
dell’autorità. «Non saremo noi sulla nave a infrangere la legge»,
ha dichiarato il responsabile.
La stampa tutta li ha dipinti come fascisti, razzisti, gioventù
bruciata, personaggi di estrema destra, che hanno l’obiettivo di
portare violenza e morte in un mare Mediterraneo anche troppo
flagellato. Essi invece sono tutt’altro: ragazzi come noi,
volontari, mossi dall’amore e non dall’odio, dal desiderio di
verità e di giustizia, che non riescono a stare immobili davanti ad
uno Stato che fa spallucce e che non sa che pesci prendere, mentre i
suoi confini piano piano svaniscono ed il suo territorio viene invaso
senza nessun tipo di controllo da masse di persone di cui non
sappiamo nulla, provenienti da un territorio, quello libico, in cui
l’Isis ha di recente potenziato le sue basi e creato i suoi campi
di addestramento. Sono ragazzi che proprio non ci stanno ad assistere
indifferenti al declino di una civiltà che sventola bandiera bianca
già da un pezzo. Essi non credono alle belle favole che sono state
loro raccontate e si assumono persino il rischio di perdere la vita
per i valori in cui credono.
Sì, perché navigare nel Mediterraneo,
arrivare e sostare lì, in quel maledetto punto, tra le acque libiche
ed il mare aperto, comporta numerosi rischi, soprattutto per coloro
che si oppongono ad un sistema criminale privo di scrupoli, diventato
potentissimo, il quale si estende dalla Libia, ormai roccaforte
dell’Isis, al mare aperto. Lì è in atto una guerra, una vera e
propria guerriglia tra trafficanti e guardia costiera libica, con
proiettili vaganti che ti possono stroncare in un attimo. Muori e non
te ne sei neanche accorto. Ecco perché questi giovani sono i nostri
eroi, una speranza che si è di nuovo accesa per il futuro: il domani
del vecchio continente, forse un po’ stanco, fiacco, inerme e
paralizzato, ma ancora vivo. Si può risorgere dalle proprie ceneri.
Mentre i governi degli Sati membri dell’Unione Europea si sono
rivelati incapaci di realizzare un’efficace azione congiunta e di
collaborare per il bene comune, questi giovani francesi, tedeschi e
italiani hanno dato vita ad un’intesa vera, basata su valori
condivisi, su un sentire diffuso e sulla consapevolezza di
un’identità comune. Elemento quest’ultimo che invece è mancato
nel processo di integrazione e la cui lacuna ha segnato l’attuale
dis-integrazione nonché il declino di quella che non è mai
diventata un’Unione di popoli, ma che si è trasformata in una
congregazione di interessi particolari nella quale i cittadini
europei non si riconoscono.
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