Testo di Dario Dabizzi
Ma veramente a nessuno pare vergognosa la frase "Aiutiamoli a
casa loro"? Cioè, proprio il messaggio sottostante: non vi pare
simile nei risultati all'odiosissima parola "tolleranza",
che identifica una sorta di sopportazione del diverso, parola
giustamente accantonata (ma mai completamente) in favore di
"integrazione"? Solo io trovo "Aiutiamoli a casa loro"
una roba offensiva, ponziopilatesca, ipocrita e deresponsabilizzante,
per continuare a fare come si è sempre fatto? Cioè mandare qualche
aiuto di Stato, costruire una scuola e un pozzo nel nulla, con tanto
di cerimonia con tricolore e ambasciatore che alza il culo
malvolentieri per presenziare (scuola e pozzo che peraltro verranno
bombardati dalla prima milizia ribelle o filogovernativa). Perché
questo è "Aiutiamoli a casa loro".
Come
potremmo mai permetterci di aiutare tutta questa gente "a casa
loro"? E' impossibile, anche economicamente. E' una
bella frase che bella manco è, a pensarci già solo cinque
secondi. "Aiutiamoli a casa loro" è "Oh,
io l'SMS di solidarietà l'ho mandato, cazzo volete
ancora?". Diciamocelo con l'onestà intellettuale che ci
manca (perché ci ripugna vederci come siamo): "Aiutiamoli a
casa loro" significa "Tieni Bodongo o come cazzo ti chiami,
cinquanta centesimi e levati dalle palle". "Aiutiamoli
a casa loro" è un "Qua non vi vogliamo!", detto non
come lo direbbe il buttafuori analfabeta all'entrata della disco, ma
come lo direbbe un elegante maggiordomo al rappresentante del
Folletto. Che sempre un calcio in culo è, ma vuoi
mettere?
Non mi state a fare pipponi sul "E allora?
Dobbiamo accogliere tutti?", non voglio soffrire di invidia per
il mio non riuscire a raggiungere le vostre vette siderali nell'arte
di non capire mai un cazzo di quel che leggete quando mancano le
figure. Qua il problema è troppo, troppo più grosso di uno slogan
odioso già di suo. Semplificare è un arte e l'arte presuppone
studio, lavoro, impegno e risultati incerti. Altrimenti semplificare
diventa arte sì, ma della cialtroneria. E oggi c'è l'imbarazzo
della scelta, nel panorama politico italiano, per praticare tale
arte.
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